Siamo giunti al termine della nostra cavalcata, durata vari mesi, nella pianura del vizio. Abbiamo usato intenzionalmente il termine «cavalcata» perché spesso i peccati capitali nella pittura murale, soprattutto delle nostre regioni alpine o della Francia meridionale, sono raffigurati incatenati l’uno all’altro mentre avanzano trionfali e ignari verso la voragine spalancata dell’inferno. La superbia è un re che cavalca un leone; l’avarizia è un mercante che procede su una scimmia; la lussuria una meretrice che si riflette in uno specchio, assisa su un caprone; l’ira è un giovane che si pugnala avanzando su un leopardo.
E così via, col vizio della gola rappresentato in un obeso insediato su un maiale o su un lupo, con l’invidioso rinsecchito che monta un cane, mentre il pigro è un contadino sonnolento su un asino. Certo è che, come abbiamo avuto occasione di ribadire a più riprese, la lista dei sette vizi capitali dev’essere aggiornata secondo nuovi soggetti: pensiamo solo che cosa sia la cattiva comunicazione mediatica per violenza, inganno, perversione. A proposito di queste ritrascrizioni o aggiunte riguardanti i peccati principali, ci affidiamo ancora a una famosa immagine artistica: il ciclo del Buono e il Cattivo Governo affrescato nel Palazzo Pubblico di Siena tra il 1337 e il 1341 da Ambrogio Lorenzetti.
Ebbene, nel governo corrotto – e già questo è un vizio specifico di natura politica di cui siamo sempre testimoni e che ha come paralleli la caduta del senso civico dei cittadini e l’evasione fiscale – il pittore presenta al centro, viscida e incombente, la Tirannia, simile a un diavolo con corna e ali di pipistrello. La sua corte comprende una sequenza di lugubri personificazioni: la Frode, l’Ira, il Tradimento, la Crudeltà, la Divisione, la Guerra. Nel registro superiore non manca la triade tradizionale dell’Avarizia, della Superbia e della Vanagloria.
Durante il nostro lungo percorso nell’orizzonte del peccato abbiamo, poi, segnalato un fenomeno tipico dei nostri tempi, l’indifferenza etica, l’afflosciarsi di ogni frontiera tra vizio e virtù, l’dozione di un relativismo utilitaristico ed edonistico, un’amoralità diffusa, nuova e più pericolosa forma dell’immoralità. Dobbiamo, perciò, ribadire con forza – anche se non con gli eccessi moralistici controproducenti del passato – la necessità dell’educazione al senso morale fin dall’infanzia.
Illuminanti sono le parole di un grande scrittore moralista del ’500 francese, Michel de Montaigne: «Il vizio lascia come un’ulcera nella carne e un rimorso nell’anima che sempre crea prurito e sanguina». È giunto, però, a questo punto il momento di trasmigrare verso l’altro orizzonte confinante, quello limpido e sereno delle virtù. È ciò che faremo a partire dalla prossima puntata del nostro itinerario morale e spirituale.