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mercoledì 30 aprile 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

La fortezza, la paura e il male

Una delle invocazioni delle Litanie mariane è, come è noto, Virgo potens. Sotto questo titolo un poeta piuttosto appartato, ma dotato di un’intensa spiritualità, Giovanni Angelo Abbo (1911-1994), aveva composto nel 1989 un’invocazione a Maria molto significativa: «È segno di fortezza la bontà. / Per questo noi, fragili e vani, / siamo da sempre impietosi. / Ma tu, che il Padre volle per grazia quasi onnipotente, / sei anche tanto misericordiosa. / Ignori le rotte di guerra / e il tuo virgineo stelo né spada né spine deformano…».

La fortezza, la terza delle virtù cardinali, dopo la prudenza e la giustizia, non è durezza, forza bruta, audacia o gagliardia, retorica marziale. Non è arroganza, volontà di potenza, sprezzo dei deboli e del pericolo, non appartiene all’immaginario “maschilista”. È, invece, fermezza interiore che ignora la pusillanimità, l’inerzia, l’incostanza, il comodo conformismo, la falsa umiltà. Certo, nella nostra lingua il vocabolo «fortezza» rimanda a un fortino o a una città fortificata.

Ma nella stessa Bibbia questo termine, a prima vista militare, si trasforma in simbolo divino, per cui il Signore è invocato come baluardo sicuro per le vittime e rupe fortificata ove trovare scampo, riparo e rifugio, ed è segno di salvezza e protezione contro il male (Salmi 18,3; 71,3). Così – e lo faceva sopra notare il poeta Abbo per la Madre di Cristo – dote della virtù della fortezza è la bontà, la misericordia; è l’essere coraggiosi nella prova, è sostenere i fragili, accogliere e tutelare i deboli. Accompagna la fortezza un corteo di altre virtù ancelle che si chiamano magnanimità, pazienza, costanza, fermezza, nobiltà d’animo, perseveranza.

Dopo la cascata di termini paralleli e antitetici che abbiamo finora proposto per illustrare questa virtù, cerchiamo di individuare una definizione-descrizione più accurata. Ci aiuta, anche in questo caso, quel grande pensatore che è stato san Tommaso d’Aquino che si rifaceva al suo maestro ideale, il filosofo greco Aristotele. La classicità aveva già esaltato questa virtù come forza d’animo davanti alle avversità della vita, come dominio delle passioni e capacità di imporsi nella conduzione della cosa pubblica, ossia della vita sociale e politica. Aristotele, invece, nella sua Etica Nicomachea (così detta perché destinata a suo figlio Nicomaco) aveva puntato con più nettezza lungo due traiettorie fondamentali: la fortezza è il sopportare la prova e l’opporsi al male.

Sulla scia della duplice finalità suggerita da Aristotele, san Tommaso d’Aquino vedeva la fortezza come energia protesa a vincere la paura derivante dalla presenza “forte” del male (il «sopportare») e come coraggio di sfidare e combattere il male per sconfiggerlo (l’«opporsi»). La fortezza, allora, si colloca in equilibrio e sul crinale tra due versanti: da un lato, essa conosce il significato della paura ma la controlla, e d’altro lato, si riveste di audacia e di coraggio, ma li modera impedendone la degenerazione in pura e semplice violenza e aggressività. Infine, notiamo che la fortezza è prima di tutto una virtù personale, cioè da esercitare nelle proprie scelte e azioni. Ma ha un effetto anche sociale, perché è un impegno serio e severo contro le strutture e le situazioni di ingiustizia, di disparità economica, di prevaricazione dei potenti.


05 ottobre 2023

 
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