Hans Joas, fra i maggiori filosofi e sociologi a livello mondiale, insegna a Friburgo e a Chicago.
Di solito in questo blog vi parlo di romanzi, quelli buoni (da leggere) e quelli cattivi (leggerli è una perdita di tempo). Mi concedete solo per oggi di scrivere di un saggio? Il fatto è che si tratta di un libro eccezionale nell'ambito della filosofia e della sociologia: si intitola La sacralità della persona, lo ha scritto un filosofo e sociologo tedesco di fama mondiale che si chiama Hans Joas e in Italia è stato pubblicato da Franco Angeli. Se troverete noioso quanto segue, sappiate che dalla prossima volta torneremo a discutere di romanzi appassionanti ed emozionanti.
Provo a spiegarvi in poche righe quale tesi sostiene La sacralità della persona e perché è così importante.
Joas studia le genesi dei valori e dei diritti dell'uomo (genealogia dei diritti umani), cerca cioè di capire come, nel corso dei secoli e nello sviluppo delle diverse tradizioni culturali, si sia pervenuti a definire dei diritti dell'uomo che godono di un consenso diffuso. Ebbene, secondo Joas il lungo e tortuoso percorso storico dei diritti converge nell'affermazione della sacralità della persona: questo è il valore più alto, insuperabile che l'umanità è arrivata a riconoscere, l'esito di un millenario e travagliato cammino alla ricerca di quel quid di fronte al quale ogni arbitrio deve cessare, perché costituisce, appunto, un valore in sé.
Mi sembra molto bello questo ragionamento. La persona è sacra: questo è il risultato finale del nostro cercare ciò che ha veramente valore. Pensate a quante cose sono state erroneamente (e sono ancora) ritenute sacre, prima di approdare al riconoscimento della sacralità delle persona: la natura, la nazione, il denaro, il potere... E pensate alle conseguenze nefaste dell'idealizzazione-sacralizzazione delle realtà sbagliate. Oggi, pur nella fatica della storia, si sta finalmente imponendo la consapevolezza che la persona è sacra.
Due elementi contribuiscono in maniera decisiva a definire la sacralità della persona: quello di anima e quello di dono. Che la persona (persona, si badi bene, e non uomo, donna, bianco, nero, africano, asiatico, ricco, povero, intelligente, stupido, normodotato o disabile...) abbia un'anima significa che ha in sé un nucleo irriducibile, che è sacra non perché possiede determinate caratteristiche o è in grado di fornire certe prestazioni, ma semplicemente perché è, perché esiste come creatura umana.
Non è meraviglioso? Che la persona abbia un'anima significa dunque che è totalmente in-disponibile, non può essere al servizio di niente e nessuno, non può fungere da mezzo per nulla. Non solo: la persona è anche un dono, vale a dire che ha inscritto in se stessa, nel più profondo di sé, un rimando a qualcosa che sta fuori di sé, a una dimensione trascendente, al punto che nemmeno lei stessa è libera di distruggere il sacro che è. In quanto dono, la persona si rivela non auto-data, non autonoma, pur nella libertà.
Pensate alle implicazioni etiche di queste affermazioni. Ogni atto che ferisca la sacralità anche di una sola persona, anche dell'"ultimo" uomo, è un atto inaccettabile che distrugge l'umanità. E siccome ogni persona è dono, nessuno può disporne: nemmeno, si faccia attenzione, la persona stessa (evidenti i riflessi su temi come l'eutanasia, l'aborto..).
La tesi di Joas risolve in una direzione chiara quello che il curatore del volume, il professore Andrea Maccarini, definisce il conflitto non tra civiltà, ma interno alla civiltà occidentale. Un conflitto che oppone due visioni che, pur identificando entrambe nella persona-individuo il valore ultimo su cui fondare i diritti moderni, diverge nel trarne le conseguenze. Per alcuni, ciò comporta la piena autodeterminazione dell'uomo (fino, ad esempio, all'eutanasia: la vita è mia, sono io il padrone di quel quid irriducibile che io stesso sono). Per Joas è vero sì, come abbiamo visto, che l'individuo è un valore in sé e per sé, perché ha/è un'anima. Tuttavia, il filosofo tedesco compie un ulteriore passaggio, sostenenedo che l'individuo è anche dono, cioè vita che non si è data. L'uomo è portatore di qualcosa che, costituendolo nel profondo, al tempo stesso lo trascende. Quindi, deve prendersi cura di se stesso anche perché è segno di qualcosa che non gli appartiene.
Concludo analizzando un ultimo aspetto di questo straordinario saggio. La tesi che la persona è sacra, in quanto anima e dono, evoca inevitabilmente la cultura cristiana. Joas dapprima dice che tale tesi in realtà non è ascrivibile direttamente alla tradizione del cristianesimo, poi però fonda la sacralità della persona su due concetti di chiara matrice cristiana: anima e dono. L'apparente contraddizione è spiegata in qualche modo dallo stesso autore, laddove dice che, storicamente, l'atteggiamento della tradizione cristiana rispetto ai diritti dell'uomo è stato incerto (in certe fasi storiche ha ammesso la schiavitù, ecc.). Tuttavia, se risaliamo al messaggio originario del Vangelo, in qualche modo andando dentro e oltre le stratificazioni storiche, troviamo la radice della visione che considera sacra la persona (degna di amore), in quanto ha un'anima ed è un dono (è immagine di Dio).
Tale processo di riappropriazione e riformulazione della tradizione cristiana è un esempio del metodo della genealogia affermativa elaborato da Joas: la via per riproporre all'uomo d'oggi una possibile etica comune, innestandosi nella cultura e nel patrimonio cristiano, in primis, ma anche in tutto ciò che di buono ogni tradizione ha saputo costruire.