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martedì 08 ottobre 2024
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

La scioccante fine di due sposi

Tempo fa ricevetti una lettera che, riferendosi allo sconcertante caso di una coppia cristiana gerosolimitana, Anania e Saffira, caduta stecchita dopo una fiera reprimenda dell’apostolo Pietro, annotava: «Come fa la “buona novella” del Vangelo a presentarsi alla ribalta nei suoi primi passi con un miracolo di morte, procedendo in senso contrario rispetto all’agire di Cristo che faceva invece risorgere i morti?». Andiamo, allora, al testo degli Atti degli apostoli che racconta la vicenda (5,1-11). Protagonista è appunto una coppia giudeo-cristiana: il marito porta un nome biblico comune, Anania, il cui significato suona quasi ironico perché significa «il Signore mi ha concesso la sua grazia», mentre quello della moglie, Saffira, rimanda allo zaffiro o al lapislazzulo. Per comprendere la gravità del loro atto, bisogna però risalire all’atmosfera in cui viveva la comunità di Gerusalemme.

Poche righe prima del nostro racconto, infatti, si legge che «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune... Nessuno tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o  case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (4,32-35). Era quella che lo stesso Luca chiama in greco la koinonía, «la comunione fraterna» dei beni, la condivisione che cancella ogni proprietà privata e personale. Ora, i nostri due sposi avevanovenduto un loro poderee avevano tenuto per sé una parte della somma, mentre il resto era stato consegnato da Anania a Pietro per la comunità. L’apostolo s’accorge dell’inganno e reagisce con veemenza: «Anania, perché mai Satana ti ha riempito il cuore cosicché hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del ricavato del campo?» (5,3). A quel punto scatta la condanna terrificante, sul modello appunto di certi giudizi divini anti-cotestamentari: «Anania cadde a terra e spirò» (5,5; invitiamo a leggere il c. 16 del libro dei Numeri).

La stessa vicenda si ripete anche per la moglie Saffira che, ignara, dell’accaduto, si presenta tre ore dopo, ribadendo la medesima versione data dal marito e ricevendo un’identica condanna da parte di Pietro che la lascia morta sul terreno (5,7- 10). Di per sé la scena può avere un suo nucleo di verità storica: forse Luca ha narrato, interpretandolo in senso religioso, il dramma della morte improvvisa, avvenuta a distanza ravvicinata, di due coniugi cristiani “chiacchierati” per un loro comportamento egoistico. Tuttavia, a questo punto deve scattare anche il principio della corretta interpretazione dei testi che non si ferma al mero letteralismo. Infatti, se stiamo allo stile biblico e all’uso delle particolari modalità espressive tipiche dei racconti scritturistici, dobbiamo sottolineare che Luca vuole soprattutto esaltare il significato profondo e simbolico di quella vicenda. Chi viola, per smania di possesso e per egoismo, il precetto della carità operosa nei confronti del prossimo, è uno “scomunicato”, è come se fosse morto per la comunità, si è posto fuori del cerchio vitale della comunione ecclesiale e della grazia divina.

Una nota a margine. Chi ci segue ricorderà che nella scorsa puntata abbiamo trattato il caso di una “scomunica” inflitta da Paolo a un incestuoso della Chiesa di Corinto: «Questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore» (1Corinzi 5,5). Dobbiamo sempre pensare che, se il giudizio sul male dev’essere netto, non si deve mai cancellare la parola ultima del perdono e della salvezza di Dio che «scruta il cuore» umano nel profondo.



14 marzo 2024

 
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