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venerdì 22 settembre 2023
 
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Cardinale arcivescovo e biblista

L’avaro non sa godere della sua ricchezza

Sant’Ambrogio aveva anche il dono dell’ironia: lo dimostra in modo folgorante in un esempio inserito nel suo scritto sull’insaziabilità di un ricco instancabile nell’accumulare. Protagonista di quell’opera è un povero contadino biblico di nome Nabot che dà il titolo all’opera latina del vescovo di Milano, De Nabuthe, la cui storia è narrata nel c. 21 del Primo Libro dei Re. Nel IX sec. a.C. Acab, re di Israele, e sua moglie, la principessa fenicia Gezabele vogliono allargare il già vasto parco della loro residenza estiva, aggregando l’unico appezzamento familiare di Nabot. Costui, però, resiste basandosi sulla legge; ma viene eliminato con una condanna a morte attraverso la sentenza infame di un tribunale compiacente nei confronti del potere reale.

Ebbene, per sottolineare come il ricco avaro non sia mai contento del suo possesso, sant’Ambrogio narra un episodio paradossale di avidità: «Ho saputo con certezza che un ricco avaro, quando gli si preparava un uovo, si lamentava che così si uccideva un futuro pollo!». Ritorniamo, allora, a questo vizio capitale che abbiamo già illustrato nelle puntate precedenti della nostra rubrica, tenendo sempre ben presente un altro monito ironico, questa volta però di uno scrittore anticlericale, Voltaire, che nel 1764 annotava: «Gli uomini spesso odiano coloro che chiamano avari solo perché non possono cavarne nulla».

Questa volta considereremo brevemente uno dei volti terribili dell’avarizia, l’usura. A chi stava per varcare la soglia del tempio di Gerusalemme il Salmista elencava una serie di condizioni morali previe tra le quali una suonava così: «Colui che presta denaro, non faccia usura» (Salmo 15,5). Si pensi che in Mesopotamia i tassi di interesse variavano tra il 17 e il 50 per cento, per raggiungere in alcuni casi il 100 per cento sul grano! Il profeta Amos nell’VIII sec. protestava contro chi «comprava con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali» (2,6). La legge biblica era, al riguardo, chiara: «Se tu presti denaro a qualcuno del tuo popolo, all’indigente che sta con te, non ti devi comportare da usuraio» (Esodo 22,24).

Sappiamo quanto tragica sia la piaga dell’usura anche ai nostri giorni, come lo era in passato. Basti solo evocare la celebre commedia Il mercante di Venezia (1596-97) di Shakespeare con l’usuraio Shylock che esige dal creditore che gli deve tremila ducati un compenso terribile e sanguinario. Infatti, in caso di insolvenza, egli richiederà una libbra di carne, tagliata dal corpo vivo di Antonio, il mercante di Venezia suo debitore. Lasciamo ai nostri lettori di ritrovare il discusso esito finale dell’opera del celebre scrittore inglese. Egli, però, ha saputo rappresentare – sia pure coi condizionamenti e i preconcetti socio-culturali del tempo (Shylock è un ebreo) – la macabra violenza insita nell’usura che strappa la carne e la vita stessa alle sue vittime.

Concludiamo, però, le varie riflessioni dedicate in queste settimane al vizio dell’avidità avara con un personaggio che tutti abbiamo in mente, Giuda il traditore di Gesù, riproponendo la scena narrata dall’evangelista Giovanni (12,1-11). Alla sua cupidigia («era ladro e, poiché gestiva la cassa, prendeva quello che vi si versava») si oppone la generosità luminosa di Maria di Betania che, senza esitazione, versa una libbra (circa tre etti) di prezioso nardo balsamico indiano sui piedi di Cristo. L’amore non calcola, anzi, sciala e, se due fidanzati cominciano a contare i doni che si sono fatti, è segno che stanno lasciandosi…

 

 


16 marzo 2023

 
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