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domenica 15 settembre 2024
 
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Il Festival? Celebra la musica cantando la vita

Tosca sul palco dell'Ariston (foto Ansa)
Tosca sul palco dell'Ariston (foto Ansa)

Sanremo vuole celebrare la musica. In realtà non può farlo se, attraverso la musica, non celebra la vita, e, soprattutto, quell’ingrediente che rende la vita degna di essere vissuta, nella sua qualità di vita umana, allora degna dell’umano dell’uomo: l’amore in tutta verità e giustizia. Se le parole sono giuste, la domanda è: qual è la giustizia delle parole? Se le parole giuste riguardano l’amore, gli affetti, i sentimenti, allora la domanda si ripete così: come deve essere l’amore perché le parole che lo cantano corrispondano alla sua giustizia? Oppure, come devono essere le parole perché comunichino la giustizia dell’amore?

Bisogna riconoscere una evoluzione di Sanremo nelle proposte delle canzoni. Fiorello si autopropone cantante (non in gara) con una canzone presentata come “classica” per Sanremo «dove si vince solo con “ti amo”». È vero, se Sanremo ha cantato l’amore ha sempre lavorato con la rima amore-cuore. Questo è detto perché – col senno di poi, cioè di oggi- non possiamo non identificare, in quelle belle canzoni, un po’ di flaccido sentimentalismo romantico. Le cose non stanno più così, effettivamente no.

Non si cercano tanto rime a effetto ma, piuttosto, tante metafore per dire le profondità di un mistero che non si smette mai di scandagliare in tutti i suoi aspetti, meandri nascosti sempre collegati con l’esperienza spesso drammatica di chi non ha sicurezze definitive e vive il rischio del disorientamento dei cambiamenti continui, delle paure di perdersi in legami che non durano. Manca la stabilità del rapporto, perché nelle società liquide nulla sembra avere consistenza. Tutto passa e scorre velocemente. Nell’ottica del mascheramento universale, anche lo stare insieme è talvolta un modo per nascondere qualcosa di altro. Anche l’amore?

Eppure il linguaggio dell’amore si esprime nella ricerca di verità, di definitività e di totalità. Tosca canta Ho amato tutto. Un elogio alla semplicità, come un bilancio di una vita che tira una linea: «se tu chiedi in questa vita cosa ho fatto, io rispondo ho amato. Ho amato tutto». Come descrivere questo movimento del cuore che invade tutta l’esistenza, come «un’onda che ci annega e ci lascia senza fiato», impossibile e inutile da fermare? È musica che va e «in un’istante è primavera che ritorna».

L’amore è la magia con cui riscrivere l’alfabeto e dare significato ad ogni “parola stanca”. Poiché non è un concetto astratto, l’amore ha sempre a che fare con un “tu”, l’altro che ti identifica e dona all’io la propria identità più vera. Siamo esseri bisognosi dell’altro, “mendicanti di amore”, perciò se «manchi tu, manchi da morire, perché amarsi è respirare i tuoi sorrisi». Senza l’amore – senza un “tu” che lo rende vivibile e vitale- si è «come un pesce che non può più respirare, come un palazzo intero che sta per cadere». L’essere umano è nulla senza amore (insisteva San Giovanni Paolo II), senza amare ed essere amati si è insignificanti, sconfitti, irredenti. Perciò, il tu-dell’amore può essere immaginato come «l’unica messa a cui io sono andata». La messa è il “dove” si impara davvero l’amore. Dalla messa si esce, nel perdono, redenti, riscattati, rimessi in gioco. Nell’immedesimazione dell’amore, si è una “sola carne”, non solo un “essere-con”, cioè l’uno accanto all’altro. Di più, un “essere-in”, l’essere l’uno nell’altro, come «stracciarsi la pelle e volersela scambiare».

Paolo Palumbo partecipa alla seconda serata sanremese. La sua testimonianza non ha lasciato indifferenti (foto Ansa)
Paolo Palumbo partecipa alla seconda serata sanremese. La sua testimonianza non ha lasciato indifferenti (foto Ansa)

Paolo Palumbo, malato di Sla. La testimonianza di amore per la vita che spazza via il "No grazie" di Junior Cally

Commovente, proprio per questa vita-esperienza dell’amore, è stata la canzone fuori gara Io sto con Paolo. Paolo è un giovane che ha scoperto da qualche anno di essere malato di SLA. Chi sta con Paolo? Chi lo accompagna nel travaglio del suo soffrire quotidiano, per giorni, per mesi, per anni? Chi si scambia la pelle con lui è quello che lo ama. Qui si tratta sicuramente della famiglia e di suo fratello «che mi presta mani e braccia e non mi lascia mai da solo», a fronteggiare le sfide poste da questa malattia inguaribile, le crisi respiratorie. Per farlo, il fratello Rosario “lascia tutto per prendersi cura di lui”. È l’amore che diventa dolcezza della parola e dedizione della vita. «Siamo seimila, catapultati in un mondo ignoto», con un corpo che li ha abbandonati e in quella condizione invoca l’aiuto dell’amicizia che è uno “stare vicino” per condividere un tempo donato, dedicato all’affetto di una compagnia che può essere una goccia d’acqua nell’arsura.

Da qui il grande messaggio di Paolo Palumbo, giovane di 22 anni che non si è arreso e che vuole combattere «la vita non è una passeggiata, ma dobbiamo affrontare tutte le sfide che ci mette davanti con tutto l'entusiasmo possibile»; e ancora: «I limiti sono solo dentro di noi. Ricordate che il tempo che abbiamo a disposizione è poco ed è nella mente che ristagnano le disabilità più gravi». E quali sono? «La mancanza di empatia e di tolleranza», disabilità dell’anima, ben più gravi di quelle di un corpo che non si muove. Su questo tutti abbiamo, bisogno di terapia intensiva e di cure (non palliative). La strada per guarire è indicata chiara e distinta: «fate quanto più potete per aiutare il prossimo». E domande martellanti, in conclusione «avete usato il vostro tempo nel migliore dei modi? Avete detto "ti voglio bene"? Il tempo che abbiamo a disposizione è poco e prezioso e dovremmo sfruttarlo riempiendo il mondo di altruismo».

Il messaggio che Paolo ha lanciato con la voce metallica del sistema con cui comunica con il resto del mondo grazie al movimento degli occhi ha meritato la standing ovation di un pubblico che speriamo si sia commosso per davvero, cioè che interiormente abbia deciso di “muoversi-con” per operare l’amore e la vicinanza verso tutti, per passare – come si dice- dalle belle parole ai fatti concreti. È simpatico che Paolo offra anche un consiglio musicale: «ascoltate e riascoltate la mia canzone e pensate ai guerrieri che lottano per vivere». Come a sostenere che l’ascolto di canzoni aiuta e incoraggia quell’altruismo che può manifestare l’amore nella carne dei drammi umani.

Davanti a questa testimonianza - così vera, così crudamente onesta e sincera, un bene non negoziabile - la partecipazione di Junior Cally con la sua canzone No grazie ha perso ogni smalto. Ha ricevuto i suoi appalusi, ma la giuria demoscopica lo ha relegato all’ultimo posto e ha fatto bene, come chiaramente dicendo al camaleonte tatuato : «non ci interessi per nulla, no grazie».


06 febbraio 2020

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