Il suono di questo vocabolo imita il rumore dell’aria che passa fischiando e quello dell’affannoso alitare degli esseri viventi. Si riferisce anche a Dio che effonde a tutti il suo amore
Accostiamo due scene bibliche. La prima è obbligatoria nella solennità di Pentecoste. «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso e riempì tutta la casa dove stavano… E tutti furono colmati di Spirito Santo» (Atti 2,2.4). La seconda scena è di taglio surreale, secondo lo stile «barocco» del profeta Ezechiele: «La mano del Signore mi depose in una pianura piena di ossa. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: Profetizza su queste ossa. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete… Profetizza: Spirito, vieni dai quattro venti e sofFIa su questi morti, perché rivivano» (si legga Ezechiele 37,1-14).
In entrambi i casi è suggestivo il nesso tra lo spirito divino e il simbolo del vento e questo legame è espresso attraverso un vocabolo dal duplice signicato, rûah in ebraico, pnéuma in greco. Essi rimandano appunto sia allo «spirito», sia al respiro, al vento, all’alito. Noi ora ci fermeremo sul sostantivo femminile ebraico rûah (l’h FInale è aspirata) che è presente 378 volte nell’Antico Testamento e, come osserva uno studioso, vuole «imitare il rumore del vento che passa schiando e del respiro affannoso».
Ecco qualche esempio in cui si intuisce l’immagine del vento. Nel giardino dell’Eden Adamo ed Eva «udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava al vento (rûah) del giorno», cioè alla brezza serale (Genesi 3,8). Per allontanare e far asciugare le acque del diluvio, «Dio fece passare un vento (rûah) sulla terra e le acque si abbassarono» (Genesi 8,1). Ma, come dicevamo, è anche il respiro vitale di ogni creatura. Si invoca il Signore così: «Dio, Dio degli spiriti (rûah) di ogni essere vivente» (Numeri 16,22). E Giobbe: «Ricordati che un sofFIo (rûah) è la mia vita» (7,7); e un altro sapiente biblico, Qohelet, rappresenta così la nostra morte: «Ritorna la polvere alla terra, com’era prima, e il sofFIo vitale (rûah) torna a Dio che lo ha dato» (12,7).
C’è, però, anche il respiro di Dio che è il suo spirito creatore. Sul nulla, raffigurato attraverso i simboli della terra informe e deserta, delle tenebre, dell’abisso e del caos acquatico, «lo spirito (rûah) aleggiava sulle acque» (Genesi 1,2). C’è, infatti, la convinzione che «dalla parola del Signore furono creati i cieli e dal soffio (rûah) della sua bocca ogni loro schiera» (Salmo 33,6). Perciò, il Salmista proclama: «Mandi il tuo spirito (rûah), sono creati… Togli loro il respiro (rûah), muoiono e ritornano nella polvere» (104,29-30).
Lo stesso spirito divino è l’anima che regge la vocazione profetica, come si legge in un passo del libro di Isaia che Gesù ha applicato a sé stesso: «Lo spirito (rûah) del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare la buona notizia ai miseri» (Isaia 61,1 e Luca 4,18). I profeti, allora, sentono che, accanto all’alito vitale fisico, Dio ha immesso in loro il dono del suo spirito che è alla sorgente della loro missione e della loro parola. In forma diversa, anche il fedele sa che nel suo essere è presente lo spirito di Dio col suo amore. È per questo che l’orante del Miserere implora il Signore: «Non privarmi del tuo santo spirito» (Salmo 51,13). Si apre, così, progressivamente l’orizzonte dello Spirito Santo nella visione trinitaria cristiana.