Ecco una parola che ormai tutti conoscono, che è usata come saluto sia nell’ebraico moderno, sia in arabo (salam) e che nell’Antico Testamento risuona 237 volte. Nel Talmud, il testo delle tradizioni giudaiche, si legge che «la pace è per il mondo quello che è il lievito per la pasta». La concezione dello shalôm è poliedrica, perché il vocabolo nella sua radice suppone qualcosa di «compiuto, perfetto» e, allora, la pace biblica comprende non solo l’assenza della guerra ma anche benessere, prosperità, giustizia, gioia, pienezza di vita. Come diceva il Salmo 85, «giustizia e pace si baceranno» (v. 11), e il famoso filosofo ebreo olandese Baruch Spinoza (1632-1677) affermava giustamente che «la pace non è assenza di guerra soltanto, è una virtù, uno stato d’animo che dispone alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia».
Nella visione messianica biblica l’orizzonte sarà segnato proprio dalla pace che è anche il nome di Gerusalemme (Jerûshalaim), almeno nell’interpretazione tradizionale, «città della pace» (‘ir shalôm). Allora terra e cielo si uniranno in un’armonia d’amore, come aveva annunciato il profeta Isaia in quell’affresco poetico in cui persino gli animali tra loro ostili si rappacificheranno: lupo con agnello, leopardo con capretto, vitello con leoncello, mucca e orsa, leone e bue, il bambino e la vipera (11,6-8).
La nuova Gerusalemme, sempre secondo Isaia, ospiterà tutte le nazioni della terra che, giunte nella città santa, «forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci e un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (2,4).
Anzi, il re messianico sarà il primo a far sparire carri e cavalleria, infrangerà l’arco di guerra e «annuncerà la pace a tutte le genti» (Zaccaria 9,10). Il suo titolo sarà, infatti, come ricorda ancora il profeta Isaia, «principe della pace» e, con lui, «la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno» (9,5-6).
Suggestivo è, al riguardo, il saluto augurale che viene indirizzato a Davide agli esordi del suo regno: «Per te, Davide, e con te, figlio di Iesse! Pace, pace a te, e pace a chi ti aiuta, perché il tuo Dio ti aiuta!» (1Cronache 12,19). Il suo successore porterà il nome di Salomone che, come è evidente, è modellato su shalôm, «uomo di pace». E tutto Israele è sotto il manto protettivo dello shalôm (in ebraico è maschile): «Il Signore benedice il suo popolo nella pace» (Salmo 29,11) e il fedele si impegnerà con questo proposito: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con fiducia» (Salmo 85,9).
Siamo ormai alle soglie del Natale e non possiamo concludere senza evocare il canto degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» (Luca 2,14). San Paolo, infatti, definisce Cristo come «nostra pace» (in greco eirène), «colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace… Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini» (Efesini 2,14-17).