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martedì 29 aprile 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

Sulla strada da Gerusalemme a Gerico

Inizieremo questa nuova riflessione sulla virtù «teologale» della carità con un florilegio di citazioni giovannee che vanno tutte nella stessa direzione: «Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci... Se ci amiamo, Dio dimora in noi e il suo amore è perfetto in noi... Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: Amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un menzognero... Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (1Giovanni 4,11-12.19-20; Giovanni 13,34). Costante è il nesso tra i due amori, il divino e l’umano. A Dio che ama, la sua creatura deve rispondere amando.

Per illustrare questo impegno umano ricorriamo a una celebre pagina del Vangelo di Luca (10,25-37). Entra in scena un dottore della Legge che pone a Gesù un quesito: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Egli sapeva che i rabbini avevano codificato ben 613 precetti da osservare, estraendoli dalla legge biblica. Cristo risponde, invece, citando due passi biblici e legandoli tra loro per comporre un unico precetto, vincolato all’amore: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». È la carità, nella sua dimensione verticale e orizzontale, ad essere la via per raggiungere «la vita eterna», strappandoci così dalla morte.

Ma Gesù non si accontenta di una dichiarazione di principio e, spinto da un’altra domanda di quel dottore («Chi è il mio prossimo?»), delinea anche la via concreta per raggiungere quella meta ultima. È la strada simbolica della carità che corre al centro di una famosa parabola, quella del Buon Samaritano. È, però, anche una strada reale e topografica, che scendeva da Gerusalemme fino all’oasi di Gerico. Su di essa giace un corpo insanguinato, nel silenzio del deserto circostante.

Finalmente avanza un sacerdote, ma subito c’è la delusione: «Passò oltre, dall’altra parte» della strada. Dopo un po’, ecco un altro passaggio, un levita, ma anch’egli «passò oltre», ignorando il dramma di quell’infelice. È solo un “eretico”, un Samaritano a fermarsi e a piegarsi sull’ebreo ferito da un assalto di predoni. Egli non bada al fatto che quell’uomo è un suo avversario a livello religioso e politico. Non sta a disquisire se costui sia o meno suo «prossimo», ma si fa subito «prossimo» dell’altro per il semplice fatto che è in necessità e in sofferenza.

Gesù descrive con ac-curatezza tutti i gesti di quel Samaritano: egli si fa vicino, si commuove, medica e fascia le ferite, carica la vittima sulla sua cavalcatura, la depone nel primo albergo, per due volte si ripete che «si prende cura», si premura anche per il decorso futuro del male anticipando il denaro per coprire i costi dell’assistenza. Ecco, allora, il finale della parabola nella quale è racchiuso un appello alla vera carità da praticare, quella narrata simbolicamente nella parabola: «Va’ e fa’ anche tu lo stesso!».

Cristo, in una intensa pagina di Matteo, aveva rappresentato il giudizio finale per entrare nella vita eterna e l’aveva fatto vertere solo su un argomento, l’esercizio della carità nei confronti del prossimo affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o carcerato (25,31- 46). Come in apertura, in conclusione riprendiamo e completiamo una frase della prima Lettera di Giovanni: «Se uno dicesse: Amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un menzognero. Chi, infatti, non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (4,20).


14 dicembre 2023

 
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