La Sacra Scrittura utilizza spesso esempi che derivano dall'osservazione del creato per proporre insegnamenti religiosi o morali. A volte sferzanti, altre volte delicati e pieni di speranza.
Galileo Galilei nel suo Saggiatore (1623) era convinto che la natura manifesta una ricchezza «nel produrre i suoi effetti con maniere inescogitabili da noi» al punto tale che l’esperienza stessa scientifica «non basta a supplire alla nostra incapacità» di comprenderla. Nella nostra rubrica quest’anno abbiamo cercato di mostrare questa «ricchezza » da un altro angolo di visuale, quello biblico, cioè spirituale, poetico, simbolico. In questa puntata vorremmo sfogliare quasi a caso le pagine bibliche per scoprire come immagini naturali sono assunte a segni religiosi o morali, rivelando così l’attenzione che gli autori sacri riservano al creato.
Apriamo, ad esempio, il Salterio ed ecco, subito nel primo canto, sono in scena da un lato un albero verdeggiante e ricco di frutti lambito da un ruscello e, d’altro lato, la pula secca che è spazzata via dal vento o che è destinata ad ardere nel mucchio della paglia (Salmo 1; ma la stessa immagine era già in Geremia 17,7-8). Questo contrasto naturale si trasforma in una sorta di parabola morale che contrappone il giusto e il malvagio. Secoli dopo, alle soglie del cristianesimo, l’autore del Libro della Sapienza, che scrive in greco forse ad Alessandria d’Egitto, ricama un quadretto analogo puntando solo sull’empio la cui «speranza è come pula portata dal vento, come schiuma leggera sospinta dalla tempesta, come fumo disperso dal vento » (5,14).
Ma se continuiamo a sfogliare la Bibbia giungendo quasi alle ultime pagine, ecco Giuda (forse l’apostolo omonimo del traditore o uno dei «fratelli » di Gesù) che sferza così, nella sua Lettera, i falsi maestri che ingannano i cristiani: «nuvole senza pioggia, allontanate dai venti; alberi di fine stagione senza frutto, morti due volte, sradicati; onde selvagge del mare che schiumano sporcizia; astri erranti, votati all’oscurità delle tenebre eterne» (cc. 12-13). Il contrasto forte tra la freschezza dell’acqua sorgiva e l’aridità di un bacino secco, come segni dell’antitesi tra fede e idolatria, è rafgurato da Geremia con una sola pennellata: «Hanno abbandonato una sorgente d’acqua viva per scavarsi cisterne piene di crepe che non trattengono l’acqua» (2,13).
Ci sono, però, tante immagini dolci, se riapriamo di nuovo a caso la Bibbia. È ancora il Salmista a celebrare con tenerezza il desiderio di rimanere nel tempio accanto al Signore: «Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore» (84,4). Anzi, il fedele ha una sete interiore di Dio da sentirsi come «la cerva che anela ai corsi d’acqua » (42,2). Ma incontriamo anche altre immagini delicate, adottate per indicare un amore umano. Il Cantico dei Cantici ne è pieno; noi scegliamo solo questo abbozzo del libro dei Proverbi: «Sia benedetta la tua sorgente, trova gioia nella donna della tua giovinezza, cerva amabile, gazzella graziosa» (5,18-19).
E concludiamo con un monito a chi crede di sfuggire al giudizio di Dio sull’ingiustizia. È il profeta contadino Amos a «dipingere» questo straordinario quadretto: «Ecco un uomo fugge davanti al leone e si imbatte in un orso. Entra in casa, appoggia la mano al muro e un serpente lo morde» (5,19). I perversi, infatti, «si dissolvono come acqua che scorre, inaridiscono come erba calpestata, passano come bava di lumaca che si scioglie, come aborto di donna che non vede il sole» (Salmo 58,8-9).