Nel percorso che il lezionario festivo permette di fare dopo la Pentecoste, non poteva mancare il libro di Giosuè. Collocato subito dopo i cinque libri del Pentateuco, o Torà, riprende lì da dove era terminato il Deuteronomio, con la sepoltura di Mosè sul monte Nebo. Mosè, che aveva condotto Israele fuori dall’Egitto insieme ai fratelli Aronne e Maria, non ha potuto entrare nella Terra, e ne è rimasto fuori: ora, il compito di continuare il cammino passa da Mosè a Giosuè. Di lui poco viene detto dalla Bibbia. Il suo nome doveva essere Osea (cf. Numeri 13,16), poi cambiato da Mosè in Giosuè, che significa “Dio salva”, lo stesso che in lingua greca, nella traduzione della Bibbia detta dei Settanta, e poi nel Nuovo Testamento, diventerà «Gesù».
Giosuè appare sulla scena come il guerriero che combatte contro uno dei nemici più spietati di Israele, gli Amaleciti: mentre Mosè prega sul monte, tenendo le mani sollevate, Giosuè è sul campo, e in forza della preghiera del profeta vince la prima battaglia di Israele contro un popolo diverso dagli Egiziani (Esodo 17,813).
Giosuè diventa così la rappresentazione del combattente fedele che collabora con Mosè, come quando i due salgono sul Sinai e Giosuè è definito il suo «aiutante» (Esodo 24,13). Lo ritroviamo durante un’altra importante battaglia, raccontata con toni epici, vinta perché il Signore è alleato di Giosuè e con lui combattono anche le schiere celesti, il sole e la luna: la terra promessa, si vuol dire, non è conquista o premio per il proprio eroismo, ma dono di Dio. La pagina ha suscitato tante questioni, non ultima quella che ha coinvolto anche Galileo Galilei, il quale dovette spiegare che il «Férmati, o sole» andava letto in senso poetico, e soprattutto che lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture, vuole «insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo».
Il Dio che è stato a fianco di Giosuè è lo stesso – scrive Paolo nella Lettera ai Romani – che è «per» e non «contro», e può difendere chi si affida a lui da pericoli, tribolazioni, angosce, persecuzioni, grazie alla morte di Cristo: se Cristo è morto per la vita degli uomini, nessuno potrà mai strappare i figli dal Padre che li ama.
A questo Padre si affida Gesù, durante la sua cena d’addio coi discepoli, chiedendogli di essere glorificato. Non è una richiesta di autoesaltazione, ma di essere riconosciuto dagli uomini, soprattutto nel momento dell’offerta suprema della croce, in modo che anche il Padre sia riconosciuto da essi.
Quanta consolazione viene da queste pagine: da Giosuè impariamo il coraggio di compiere il nostro dovere, nelle nostre lotte di ogni giorno; da Paolo impariamo che Gesù Cristo non ci abbandona, e dalle parole del Signore che tutti siamo destinati a una vita che non finisce. Se ora ne vediamo solo l’inizio, o il tratto che stiamo percorrendo, possiamo confidare nel fatto che la vita continua, con la vita eterna che Gesù ha promesso. Le vicissitudini quotidiane spesso ci distraggono dalla mèta, ma è proprio lì che siamo attesi.