Contro la salvezza nulla può il peccato
Attorno a lui era seduta una folla, egli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!». Marco 3,32-34
Le tre liturgie domenicali con cui dopo la Pasqua riprende il ciclo del Tempo ordinario sono sostituite ogni anno dal Proprio della domenica di Pentecoste e delle due successive solennità (Trinità e Corpus Domini), che prolungano la pienezza vissuta. Prima del mercoledì delle Ceneri abbiamo celebrato, quest’anno, la sesta domenica del T.O. e oggi, dopo le tre solennità in corrispondenza delle domeniche 7, 8 e 9 del T.O., e dopo le liturgie feriali delle stesse settimane dell’Anno dispari, celebriamo la decima domenica, dedicata al tema del peccato e della redenzione. L’ordinarietà della vita, che può sembrarci sinonimo di banalità, fatica e sofferenza, è invece la Verità alta di una salvezza pienamente donataci nella Pasqua e ogni giorno offertaci nel memoriale perenne di quel Mistero, l’Eucaristia.
Il quotidiano dell’uomo è illuminato dalla bellezza pensata «in principio», prima del peccato, e mai revocata dal nostro Creatore innamorato: la I lettura (Genesi 3,8-25) è la stessa della solennità dell’Immacolata, in Avvento, al “principio” dell’anno liturgico, memoriale ciclico della Storia della salvezza. L’infedeltà degli uomini, per quanto grande, non rende vana la misericordia di Dio: Lui solo è il Signore dell’universo ed è Amore senza fine! La salvezza potente realizzata nell’Incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù, unico Mistero, è profetizzata già in Eden nel cosiddetto “protovangelo”, subito dopo il peccato, con la Parola del Padre che conferma l’originario dono della isha (Genesi 2,18-25), madre di una stirpe, nemica del peccato, del male e della morte. Questa “mamma” compare al termine della pericope evangelica di oggi (Marco 3,20-35): è lei, con «i fratelli e le sorelle» di Gesù, che con delicatezza, «stando fuori», lo «manda a chiamare». Come già il Padre in Eden, così Gesù, Parola eterna del Padre, conferma qui come tutti siamo chiamati alla stessa eredità del Figlio, la stessa di Maria: «Chi compie la volontà di Dio è per me fratello, sorella e madre».
La promessa prefigurata nella isha di Genesi 3, accolta da Maria, compiuta in Gesù, attraversa tutta la storia ed è presente in ciascun battezzato, creatura nuova in Cristo: siamo chiamati come Maria, con la sua stessa dolcezza e discrezione, che non si impone, non si inorgoglisce, e proprio per questo diventa manifestazione trasparente della vita vera, a realizzare pienamente in noi la vita stessa di Cristo, che è vita libera dal peccato, eterna, fondata sulla certezza di essere figli amati, testimonianza vivente dell’Amore. Non ci spaventi dunque «il momentaneo peso della nostra tribolazione» (II lettura, 2Corinzi 4): noi «speriamo nel Signore: presso di Lui è il perdono; Egli redime da tutte le colpe» (Salmo 129, Responsorio).
Gesù nel Vangelo assicura che ha vinto il mondo; in nome della sua vittoria, «tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, tutti i peccati e tutte le bestemmie», ad eccezione della «bestemmia contro lo Spirito Santo». Passa per la vita la grande benedizione di Dio: lasciarsi offuscare lo sguardo fino a non riconoscere la bellezza di questa vita, dono e compito incommensurabile, è l’effetto dell’azione di un nemico malvagio e invidioso, che ci vorrebbe perduti con lui. Apriamo ancora le porte a Cristo!