Amati, chiamati per nome, inviati
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Matteo 9,36-38
Dopo le Solennità che seguono il Tempo pasquale, in cui abbiamo meditato la grazia di essere inabitati da Dio Trinità e nutriti dal Corpo e Sangue Santissimi di Gesù, il Cristo, Maestro e Signore, riprendiamo la sequenza delle domeniche del Tempo ordinario con questa Domenica XI, dedicata alla costituzione del Collegio Apostolico (Vangelo, Matteo 9,36 - 10,8). Matteo colloca l’elezione dei Dodici, nel contesto del gruppo dei discepoli (9,37), al capitolo 10, dopo il Battesimo (3,15-17), le Tentazioni (4,1-11), il primo grande Discorso del Maestro pronunciato davanti alla folla «sul monte», luogo teologico (5- 7), alcuni miracoli (8-9). Le vocazioni dei singoli, già in parte raccontate (4,18-22; 9,9), hanno segnato l’ingresso nella comunità, ove matura, al tempo opportuno, la chiamata a una missione particolare.
Marco, nel passo parallelo (3,14-15), ci dice che Gesù «istituì i Dodici perché stessero con Lui e per mandarli a predicare col potere di scacciare i demoni»: nessun carisma può fiorire senza “stare” alla sequela del signore, che per primo ci ha guardati e benedetti col Dono della Vita (Genesi 1), ci ha scelti e ha pensato per noi, dal principio, la speciale vocazione che abbiamo accolto a tempo opportuno; in essa, ogni giorno, rinnoviamo il nostro “sì” e doniamo «nella gioia», pur tra difficoltà e tentazioni, la nostra esistenza. Il Vangelo di Matteo, “il Vangelo del Regno e della Chiesa”, attento a illuminare il Mistero del Popolo di Dio accompagnato dai suoi Pastori, stabiliti dal Cristo, pone un forte accento sulla chiamata e l’invio missionario dei Dodici e ne rivela la ragione profonda: Gesù «guardando le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore». Egli solo è il Pastore (Giovanni 10) e noi tutti «siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo» (Salmo 99, Responsorio); lo muove a «compassione» un grande amore, definito, nel testo greco, con il termine che descrive l’utero materno e che nell’Antico Testamento, con il suo corrispondente ebraico, sempre indica la misericordia di Dio per i suoi figli. Per questo amore Gesù costituisce «operai» per una «messe abbondante» e invita tutti i discepoli, tutti noi, a «pregare» incessantemente perché il Padre, padrone della messe, «mandi operai».
I nostri pastori, successori degli apostoli, investiti per grazia ministeriale dello stesso potere del Signore Gesù, sono un dono grande alla Chiesa: per le loro mani si rinnova il sacrificio del cristo e la salvezza potente che Egli ha compiuto (cfr. II lettura, Romani 5) e si manifesta lo stesso amore che Dio, agli albori della storia del Popolo della Promessa, ha avuto per Israele, cui ha donato Mosè, costituito per una missione speciale. Egli, mentre gli altri «si fermano di fronte al monte», può «salire verso Dio», che lo «chiama dalla montagna» e lo invia ad annunciare ai suoi «eletti» le sue meraviglie. Anche noi, come gli Israeliti, Dio «solleva su ali d’aquile, conduce vicino a sé», «sceglie» come suo «Regno» e «Popolo Santo» (I lettura, Esodo 19).