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mercoledì 16 ottobre 2024
 

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - 28 GIUGNO

La vita che si riceve dal Padre del cielo

Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà». Matteo 10,37-42

 

«Chi avrà perduto la propria vita per causa mia,  la troverà». Qualcosa non quadra: perdere la vita, ma trovarla...quante vite esistono? Due. Una è la "propria" e si riceve secondo la Natura, l'altra secondo la Grazia, e si riceve da Cristo.

Esiste la vita mutuata dai genitori, e poi quella per cui optò  Francesco d'Assisi quando restituì gli abiti al padre Pietro e gli disse <Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza> (Fonti Francescane 1043).

Gesù dice nel Vangelo di Giovanni: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito».

Niente di più cristiano di questo discorso, ma noi abbiamo l’indomabile tendenza alla manipolazione, alla mediazione subdola più o meno consapevole, e visto che della vita naturale abbiamo certezza, mentre la vita che nasce dall’alto, quella secondo il Regno di Dio, richiede la fede in Dio e la libertà da ogni proprio progetto, allora tentiamo di fare i nostri compromessi. Il risultato è che teniamo le nostre grinfie ben strette sulla vita biologica e con quella proviamo a seguire Gesù. Ma questo non si può fare, ed è così che il cristianesimo diviene un moralismo, perché chiediamo alla nostra natura di fare le cose che si fanno solo per grazia.

E così abbiamo fatto del cristianesimo un’oppressione e un volontarismo. E scimmiottiamo l’Amore che viene dallo Spirito Santo con il buonismo, o surroghiamo la Speranza, che è una virtù teologale, con l’istinto di sopravvivenza, che, quello sì, è l’ultimo a morire. La Fede, conseguentemente, diventa “capire” qualcosa, e si insegna come fosse una nozione, e al catechismo dei bambini è invalsa una metodica scolastica, mentre la fede si riceve facendone esperienza e vedendola all’opera.

ABBANDONARSI A DIO.

Per ricevere la vita nuova bisogna lasciare la vecchia, e c’è uno strumento che ne offre l’occasione: la croce. Quando la croce tocca la nostra vita la nostra reazione naturale è difenderci dal dolore che porta con sé, ma è quella l’occasione per “consegnarsi” al Padre abbandonandosi a Lui. Ed entrare nella Sua vita. Ma «chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà», perché questa vita naturale a cui siamo così attaccati in ogni caso la perderemo. Perché moriremo, e da questa vita usciremo; bisogna pensarci perché potremo perderla e basta oppure averla già lasciata, cosicché il giorno della nostra uscita da questo mondo sia semplicemente la fine della fase in cui vivere qui la vita nuova, ed entrare nel cielo. San Paolo diceva: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato». Vivere la vita ricevuta dai propri genitori o quella che si riceve dal Padre che è nei cieli? La storia dà occasioni per scegliere. Dio non impone la Grazia, ma la offre e basta. Conviene accettare, servendosi della croce, quando arriva.


23 giugno 2020

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