Seminare la Parola per dare Vita
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato». Matteo 13,10-11
Si apre con il capitolo 13 di Matteo il grande discorso parabolico: a seguito delle ostilità sperimentate, Gesù si esprime con metafore e immagini, il cui senso rimane oscuro per le moltitudini mentre Egli lo spiega ai Suoi discepoli. «I misteri del Regno sono nascosti ai sapienti e agli intelligenti e rivelati ai piccoli» (Matteo 11,25): la preghiera di lode di Gesù, che abbiamo meditato la scorsa domenica, manifesta la sua verità in ogni tempo; la sapienza del cuore può essere raggiunta solo rimanendo alla Sua sequela: con Lui la vita fiorisce e acquista significato. Questa abbondanza di senso, impossibile per quanti non riconoscono Cristo come Maestro, è una ricchezza che non si può comprare, non dipende da situazioni contingenti e resiste anche in mezzo alle tribolazioni: può suscitare invidie e persecuzioni, ma sempre induce a porsi una domanda decisiva sul segreto della vera gioia.
È il tema della Liturgia di oggi, che pone l’accento sul seminare: il protagonista del racconto evangelico è «il seminatore», che «esce» per diffondere il buon seme; una parte di esso appare sprecata, perché cade «lungo la strada», «sul terreno sassoso», «in mezzo ai rovi»; solo il seme che cade «nel terreno buono porta frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta per uno». Il seminatore non sceglie il terreno e non lo giudica: sa che suo compito è seminare con generosità, niente trattenere per sé, tornare a casa, al termine della semina, a mani vuote, avendo diffuso tutta la semente che ha. La buona notizia della Parola tutti raggiunge, come il sacrificio di Cristo per tutti si è consumato, e nessun operaio nella vigna del Signore può pensare di indirizzare i tesori della Grazia a chi preferisce o ritiene più adatto: «Come la pioggia e la neve», che «scendono dal cielo e non ritornano senza fecondare la terra, perché dia seme a chi semina e pane a chi mangia, così è la Parola», che «compie ciò per cui è stata mandata» (I lettura, Isaia 55). Esulta il Salmo 64 (Responsorio): il Signore è buono, non trattiene la sua misericordia in ragione dell’infedeltà e dell’incostanza dell’uomo, non revoca il suo amore ma sempre «visita la terra e la ricolma di ricchezza», «corona l’anno con i suoi benefici» e «benedice»: tutto «stilla abbondanza, grida e canta di gioia».
Dono di Dio è la Vita, non striminzita e povera, ma rigogliosa e brulicante, infinita. San Paolo ammonisce: «i dolori del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura, che sarà rivelata in noi. L’ardente prospettiva della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio». Essa «geme e soffre per le doglie del parto» (II lettura, Romani), in un dolore, dunque, che non è l'ultima parola, ma è preludio della meraviglia della vita: i credenti non tengono per sé questa certezza ma a tutti annunciano la comune chiamata a essere santi, figli amati di un Padre buono. Duplice è la domanda che ci suggerisce la Parola di oggi: che tipo di terreno sono io? E con quale spirito mi rivolgo ai tanti terreni a cui sono inviato, per essere strumento di annuncio e di salvezza?