Perdonare di cuore ai nostri fratelli
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Matteo 18,21-22
Continua la lettura del IV discorso di Gesù in Matteo (capitolo 18), il cosiddetto “discorso comunitario” o “ecclesiale”, che segue eventi fondativi per la comunità dei credenti: la moltiplicazione dei pani, simbolo e profezia del sacrificio eucaristico, la trasfigurazione, l’attribuzione del primato a Pietro, principio di unità per la Chiesa nascente. Il Maestro offre istruzioni ai suoi su come impostare la vita personale e comunitaria per seguire Lui ed essere veramente «sale della terra e luce del mondo» (Matteo 5,13- 16): farsi come bambini, non dare scandalo, custodire i “piccoli” perché nemmeno uno si perda, esercitare la correzione fraterna, mettere al centro la carità e perseverare nella preghiera unanime e concorde.
Conclude il capitolo la parabola di oggi, che Gesù espone per dare risposta alla domanda di Pietro: «Quante volte dovrò perdonare se il mio fratello pecca contro di me? Fino a sette volte?». Il numero sette, nella tradizione biblica, significa perfezione e totalità nell’orizzonte umano, rappresenta dunque un limite oltre il quale nessuno è chiamato ad andare. È il numero dei giorni della creazione, su di esso è impostato il computo delle feste e l’alternarsi del lavoro, del riposo e della preghiera: Pietro ha manifestato disponibilità e generosità! Ma l’Amore è un’altra cosa: esso apre all’ottavo giorno, quello senza tramonto, che solo Gesù, in un sacrificio che non ha prezzo e ha superato ogni limite, ha dischiuso alla nostra condizione umana. Il Maestro ricorre al gioco di parole “settanta volte sette”: un’operazione impossibile, una moltiplicazione di numeri perfetti, a dire che non c’è misura che limiti l’Amore.
L’unico criterio è il perdono, un moto del cuore che volge verso l’altro, per quanto imperfetto e colpevole, e rende capaci di guardarlo come lo guarda Dio, che vede sempre un figlio amato e prezioso. Pietro parla di un “fratello” che compie il male: siamo spesso portati a pensare che “dobbiamo” perdonare persone lontane da noi, nemici, uomini e donne che per diversi motivi possono esserci ostili; nel contesto della comunità, cui Gesù sta parlando, il fratello è invece, prima di tutto, una persona vicina, amica: può essere il figlio, lo sposo, il genitore; anche costoro, che amiamo, “peccano contro di noi” e generano ferite ancora più grandi di quelle provocate da chi ci è indifferente.
Ci può costare di più, con loro, perdonare anche un piccolo debito (gli insignificanti cento denari della parabola, l’equivalente di alcuni giorni di lavoro di un operaio, a confronto con i diecimila talenti per i quali ciascuno ha ricevuuto il condono, equivalenti a una intera carriera lavorativa, una cifra inimmaginabile); eppure, senza perdono non c’è amore, e chi perdona mostra di «non vivere per se stesso, ma per il Signore» (II lettura, Romani 14); Dio, che «perdona tutte le colpe» (Salmo 102, Responsorio), ama chi non conserva rancore. Accogliamo l’invito del Siracide (I lettura): «Ricorda l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori degli altri».