Servire con gioia il Signore nei fratelli
Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me».
Marco 9,35-37
Nel contesto del viaggio di Gesù con i Dodici attraverso la Galilea ci viene presentato il secondo annuncio della Passione che il Maestro fa ai suoi nel Vangelo di Marco; il primo lo abbiamo meditato domenica scorsa. Già l’Antico Testamento ammoniva: «Se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione; stai unito a Lui senza separartene e sii paziente nelle vicende dolorose» (Siracide 2,1-13). Anche Gesù chiarisce molte volte ai suoi che dovranno subire tentazioni e persecuzioni: tutta la liturgia di oggi insiste sulle «insidie» che vengono tese «al giusto», poiché per gli empi egli «è di incomodo, si oppone alle loro azioni e rimprovera le colpe contro la legge» (I Lettura, Sapienza 2). Si tratta di sofferenze dovute proprio al fatto di essere di Cristo, che il giusto sopporta serenamente, sull’esempio del Maestro, consapevole dell’immenso tesoro che possiede: l’amicizia con l’Onnipotente. Dio «è il suo aiuto e sostiene la sua vita» (Salmo 53, Responsorio); il giusto resta saldo nella fede, sapendo che il dolore e la morte non sono la parola definitiva sull’esistenza umana.
L’annuncio della salvezza comincia con la Passione, ma si conclude con la certezza della Risurrezione: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» (Vangelo, Marco 9,31). Gli apostoli «non capiscono e hanno timore di interrogare» Gesù: la Pasqua non si capisce con la mente, ma con il cuore; la Vita non è una conquista dello studio o dell’intelligenza umani, ma un dono di Dio che ci raggiunge senza nostro merito e ci è conservato, attraverso il sacrificio di Cristo, nonostante le nostre mancanze. Per questo Gesù prende come esempio un bambino e «lo mette in mezzo, abbracciandolo»: i piccoli non sono modello di perfezione, ma sanno gustare la bellezza dell’esistenza e ricevere l’amore senza meritarlo, non pretendono di capire tutto ma sanno vivere affidati a chi si cura di loro, hanno fiducia in chi li ama. Nei confronti di Dio il nostro cuore deve essere come il loro, come quello di ogni figlio, «sereno in braccio a sua madre» (Salmo 130,2). Ciò alimenta la gratitudine e allontana le contese e i dissidi, sempre in agguato anche con i fratelli nella fede. San Giacomo perciò ammonisce: «Le liti che sono in mezzo a voi vengono dalle vostre passioni, che fanno guerra nelle vostre membra! Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; siete invidiosi e non riuscite a ottenere; chiedete e non ottenete perché chiedete male, cioè per soddisfare le vostre passioni » (II Lettura, Giacomo 4,1-3).
Questo è accaduto anche ai Dodici: nel Vangelo Gesù prende spunto proprio dalla discussione sorta «per la strada» tra i suoi, su «chi fosse il più grande». Agli occhi del Padre non bisogna essere grandi, ma figli! Egli ama ciascuno, e il primo è chi «si fa ultimo di tutti e servo di tutti». Cristo è «la primizia» (1Corinzi 15,23): Egli «svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce» (Filippesi 2,7-8). Sul suo esempio impariamo anche noi a farci piccoli e a servire chi ci è accanto, a cominciare dallo sposo e dai figli, gioiosi verso tutti e autenticamente zelanti, senza invidie e gelosie, per la salvezza di ciascuno.