Percorrere la via della rettitudine
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto». Matteo 21,31-32
La parabola di oggi, conservata solo in Matteo, recupera elementi che si rintracciano negli altri evangelisti e nella tradizione israelitica (la presenza di un padre e di due figli dal comportamento differente, cfr. Luca 15; l’uso di formule rabbiniche e della modalità dialogica, prediletta dai maestri del tempo; l’immagine della vigna, che definisce il popolo di Dio), li raccorda in modo nuovo e invita così al pentimento sincero, preludio della conversione, che colloca sulla via retta e fa camminare incontro al Signore. Qui, come al momento del Battesimo del Giordano, il tema della giustizia compare nuovamente in rapporto alla figura del precursore, che ha indicato al popolo, immerso nelle tenebre, la «pienezza dei tempi» e l’avvicinarsi della luce nuova della salvezza, attesa da tutte le Scritture.
Gesù è «nel tempio a insegnare» e ha una discussione con «capi dei sacerdoti e anziani», che davanti a tutti lo hanno interrogato sull’origine della sua autorità; il Maestro, invece di rispondere, conoscendo le loro vere intenzioni ha chiesto da dove provenisse il battesimo di Giovanni ed essi, «per paura della folla», hanno detto di non saperlo (cfr. Matteo 21,23-27). È evidente la cattiva fede degli interlocutori, che si sentono superiori a tutti e forti di un diritto ereditario: a loro interessa solo conservare i propri privilegi e mettere Gesù in cattiva luce, non vogliono conoscere la Verità del Cristo e convertirsi a Dio attraverso il pentimento sincero e la giustizia predicata dal Battista, quella che impone a ciascuno, che tutto ha ricevuto da Dio, di prodigarsi a sua volta verso tutti, senza differenze e senza risparmiarsi.
Quanto è distante il loro atteggiamento da quello del Signore Gesù, che Paolo descrive oggi nella II lettura (Filippesi 1)! Gli insegnamenti della Scrittura, che invitano all’amore verso il piccolo e il povero e alla sollecitudine verso «il malvagio», affinché si penta, si converta e viva, non possono penetrare nel cuore di quanti si ritengono già perfetti, migliori di «pubblicani e prostitute», e continuano a offrire a Dio solo un’adesione di comodo, di convenienza e di facciata: essi sono come il secondo figlio della parabola, che ha col padre un rapporto falso, gli dice di sì, ma poi non fa, non si impegna nella «vigna» perché, nel profondo, giudica «non retto il modo di agire del Signore» (I Lettura, Ezechiele 18), che «non ricorda i peccati della giovinezza né le ribellioni, ma è buono e indica ai peccatori la via giusta» (Salmo 24, Responsorio). Chi si sente perfetto ritiene di non aver nulla di cui chiedere perdono: solo un cuore pentito permette di comportarsi come il primo figlio della parabola, che fin dall’inizio si rivolge al padre con onestà: «Non ho voglia»! Fare ciò che il Signore ci chiede può essere faticoso: perché dovremmo dare la vita per quelli che ci sono affidati, che spesso sono ingrati, infedeli, ingiusti verso di noi? Ma se sappiamo convertirci potremo sospendere il giudizio sugli altri, aprirci all’amore vero e alla misericordia, «correre avanti» sulla via del Bene.