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giovedì 22 maggio 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

XXVI domenica del Tempo Ordinario (anno C) - 25 settembre 2022

Ascoltare la Parola e fare il vero Bene

 

Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». L’uomo ricco replicò: «No, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» 

Luca 16,29-31

 

Proseguiamo la lettura del capitolo 16 di Luca, del libro di Amos e della I Lettera a Timoteo. Ritorna, con accenti differenti, il tema della ricchezza: domenica scorsa Gesù ci ha ricordato che non si può servire lei e Dio; oggi, con la parabola detta “del ricco epulone” ci mostra quanto la ricchezza possa rendere ciechi alla realtà, sordi alle necessità dei fratelli e indisponibili alla Parola che salva. Il Vangelo di Luca, il più attento alla misericordia di Dio, destinato ai lontani, ai pagani, a quanti, per diverse ragioni o condizioni, erano considerati reietti ed esclusi dalla salvezza, è quello che più degli altri insiste sulla concretezza della nostra fede: essa è certezza della Vita senza fine in Cristo, orienta alla carità perfetta e genera lo zelo autentico per la salvezza di ogni fratello.

Il Bene non è solo un pensiero, un’idea, un insieme di convinzioni corrispondenti alla Verità, che è Cristo: queste sono cose positive e necessarie, derivano direttamente dal discernimento che ci conduce a riconoscere ciò che è vero, giusto e buono. Il Bene che ne discende è poi concreto e tangibile: si tratta di agire, nel nostro contesto di vita, nella nostra quotidianità, nelle piccole o grandi attività di ogni giorno, per costruire il Regno di Dio nel mondo. Non è astrazione: noi siamo chiamati a fare la nostra parte, che nessuno può fare al nostro posto, per portare veramente Cristo e annunciarlo non solo con le  parole, ma con i fatti, con il nostro impegno e la nostra azione concreta per eliminare le strutture di male che vediamo operare dove noi viviamo, lavoriamo, agiamo tutti i giorni.

Non possiamo fare come «gli spensierati di Sion», cui il profeta Amos (I lettura) indirizza «guai» e ammonizioni: essi «si considerano sicuri»; «mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla, canterellano, bevono vino, si ungono di unguenti raffinati ma non si interessano» della condizione di chi è intorno a loro. Essi, tuona il profeta, «andranno in esilio per primi!». Un «uomo di Dio» «evita queste cose» e tende al Bene (II lettura, I Lettera a Timoteo): come Dio «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, rialza chi è caduto, protegge i forestieri, sostiene l’orfano e la vedova» (Salmo 145, Responsorio). Senza questa carità concreta la fede è disincarnata: dove siamo e viviamo sempre c’è un debole da sollevare, un povero da aiutare, un oppresso da difendere; opportunità, desiderio di quieto vivere, paura di essere coinvolti nell’oppressione ci impediscono troppo spesso di opporci al male che vediamo e non estirpiamo e ci rendono così con esso conniventi. 

Non possiamo fare come «gli spensierati di Sion», cui il profeta Amos (I lettura) indirizza «guai» e ammonizioni: essi «si considerano sicuri»; «mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla, canterellano, bevono vino, si ungono di unguenti raffinati ma non si interessano» della condizione di chi è intorno a loro. Essi, tuona il profeta, «andranno in esilio per primi!». Un «uomo di Dio» «evita queste cose» e tende al Bene (II lettura, I Lettera a Timoteo): come Dio «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, rialza chi è caduto, protegge i forestieri, sostiene l’orfano e la vedova» (Salmo 145, Responsorio). Senza questa carità concreta la fede è disincarnata: dove siamo e viviamo sempre c’è un debole da sollevare, un povero da aiutare, un oppresso da difendere; opportunità, desiderio di quieto vivere, paura di essere coinvolti nell’oppressione ci impediscono troppo spesso di opporci al male che vediamo e non estirpiamo e ci rendono così con esso conniventi.

 

OCCHI APERTI

Il ricco della parabola vede Lazzaro coperto di piaghe, desideroso anche delle briciole, ma vive senza occuparsene, non si cura di fare il bene che può fare. Così, mentre lascia nella sofferenza il povero, costruisce la propria sofferenza eterna, della quale immediatamente non si avvede. Troppo tardi comprende di avere accumulato tesori inutili per il Regno dei Cieli (cfr. Matteo 6,19-20): aveva gli insegnamenti della Scrittura, ma non li seguiva, distratto dalle tentazioni quotidiane dell’esistenza. E noi? Abbiamo occhi e cuore aperti e mani pronte a fare il Bene?

 


22 settembre 2022

 
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