Una carne sola, uniti nell’Amore
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio».
Marco 10,13-14
Dopo la Creazione, che Dio «vede buona» (Genesi 1), ecco una ruvida negazione: «Non è buono che l’uomo sia solo» (Genesi 2, I Lettura). «Vedere buono» è benedire, ed è atto proprio di Dio; «non è buono» dice un pericolo: per l’adam immagine di Dio, maschio e femmina, unum (una sola natura, come Dio è uno) ma non unus (non individuo solitario, perché Dio è relazione di persone), la solitudine è male da evitare. Dio vuole fare per l’adam un ezer kenegdo, «un aiuto che gli riveli chi è»: la locuzione dice la nostra chiamata a rivelarci l’un l'altro, come Dio si è rivelato pienamente a noi nel Figlio fatto uomo. «Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono da una stessa origine» (II Lettura, Ebrei 2); uomo e donna sono chiamati all’unità e alla generatività, a quella paternità e maternità che li fanno, insieme e non da soli, più pienamente immagine di Dio, basar ehad, «una carne sola» ma anche «unitaria manifestazione» di Dio, che è ehad, «uno solo», ma non è “da solo”.
Non c’è una creatura diversa dall’adam che possa soddisfarne il desiderio di pienezza e di intimità: solo la isha, la donna, può far riconoscere all’uomo la sua verità di ish e farlo prorompere in una dichiarazione di amore. Lei è pensata per lui e tratta da lui, fatta non dall’intelligenza di lui ma della sua stessa carne, capace di sostenerlo e santificarlo: la radice definisce le colonne del tempio di Gerusalemme, dimora di Dio tra gli uomini, ed evoca la sponsalità! Lei è generata come figlia e condotta all’uomo, dal Padre, come sposa, «vite feconda nell’intimità della casa».
Il matrimonio e la famiglia sono la grande «benedizione» (Salmo 127, Responsorio) che Dio assicura ai suoi figli e conserva nonostante il peccato: il dono della vita, che passa per il corpo dell’adam e per l’esclusività santa della relazione sponsale, è l’espressione potente della presenza di Dio nella storia. Il Vangelo (Marco 10) ci offre l’esegesi che Gesù fa del racconto di Genesi 2 quando, giunto in Giudea, è interrogato da alcuni farisei: «Non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Distruggere le nozze, sacramento e «mistero grande» (Efesini 5,32) nel quale si rivela Dio, è un sacrilegio terribile, che non può essere giustificato da cavilli e norme. Gesù, con parole e azioni, restituisce a ogni creatura umana la sua originaria dignità: riscatta la donna, voluta da Dio, dal principio, come alleata prediletta nel trasmettere e custodire la vita, ma ridotta dal peccato in una condizione di sudditanza; «mette al centro» i bambini, percepiti nelle società antiche come un peso e privi di valore, e li indica come esempio, perché «a chi è come loro appartiene il regno di Dio». Gesù non ha paura di accogliere quelli che sono ritenuti ultimi, di dare loro l’attenzione e la cura che si riserva ai primi: «Li prende tra le braccia, li benedice, impone le mani su di loro» eleggendoli, dunque, con un atto di valore sacramentale. E noi? Sappiamo agire come il nostro Maestro? Custodiamo e difendiamo, senza paura del mondo e delle mode, i doni più grandi che Dio ha fatto, il matrimonio, la famiglia e il frutto benedetto del grembo, scrigni in cui la vita si rinnova e Dio si fa presente, come a Nazaret e a Betlemme, fino alla fine dei tempi?