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lunedì 23 giugno 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

XXXIII Domenica Del Tempo Ordinario / A - 15 Novembre 2020

La volontà di Dio è portarci alla gioia

«Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». «Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Matteo 25,14-30 

C’è un piccolo malinteso da chiarire a riguardo della parola talento, divenuta sinonimo di qualità personali o capacità specifiche del singolo. C'è il talento artistico, per esmpio, e altri tipi di doni, latenti o patenti nelle persone.

Ma nella parabola dei talenti, questi ultimi sono i beni del padrone, non le carat-teristiche dei servi. Il padrone consegna i talenti – questo sì – «secondo le capacità di ciascuno», ed è qui che probabilmente è slittato il senso, ma i talenti restano del padrone e infatti lui ne chiede conto.

Ma qual è il tema in ballo? Se la parabola delle dieci vergini della domenica precedente riguardava coloro che erano chiamati a entrare nella relazione con il Signore, con lo Sposo che introduce nella sua festa, nella parabola dei talenti si parla di coloro che, entrati al servizio del Signore, ricevono un compito, una missione. Ognuno secondo le sue caratteristiche si vede affidata una porzione dei beni del padrone, per servirsene e metterla a frutto.

I primi due servi interpellati al ritorno del padrone presentano una corrispondenza rispetto alla missione ricevuta: cinque talenti fruttano altrettanti talenti, e così due ne producono altri due. Il padrone dice a entrambi: «Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».

Sia detto per inciso: un talento corrispondeva a 33 kg d’oro. Una ricchezza enorme. Infatti questo è un padrone ricchissimo, e sta consegnando quel che ha, e ha molto. Eppure secondo lui queste ricchezze sono “poco”. C’è molto di più di cinque talenti (165 kg d’oro): la gioia del padrone. Quello è il “molto”.

Ma c’è il terzo servo, quello che ha ricevuto un talento, che fa uno strano discorso: «Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra». Non ha usato i beni ricevuti per paura. E spiega il motivo di questa paura: «So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso».

UN DIO DISPOTICO?

Chi è il padrone? Un tipo duro, dispotico, esigente, ingiusto e pretenzioso. Chiede quel che non ha il diritto di chiedere, raccoglie dove non ha sparso. Le sue richieste sono delle trappole. Meglio ridargli indietro le sue cose, meglio nascondere il suo talento e non provare nemmeno a usarlo. Si manifesta così una visione di Dio: duro, esigente, dispotico. Chiede troppo. È una idea della volontà di Dio: una tortura, una condanna.

Il padrone dice: e perché non sei andato dai banchieri? Perché non sei andato dagli esperti di queste cose? Ti avrebbero detto: ma sei matto? Usa questa roba o almeno prenditi l’interesse di questa grazia! Niente: ti sei abbarbicato nel tuo pensiero nero e vittimista. Per questo il padrone lo chiama «malvagio».

Questa assurda idea di Dio è la porta dell’inferno, la strada della dispersione. Così si va fuori dal Regno dei cieli. Invece quando il Padrone ci chiama alla sua volontà, a una missione, è per portarci alla sua gioia.

Perché il Padrone non è duro, ma generoso e felice. La sua volontà è la nostra pace.


12 novembre 2020

 
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