Collaborare al disegno di Dio
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì». Matteo 25,14-15
Mentre ci avviamo alla conclusione dell’anno liturgico, nel contesto del “discorso escatologico” che Gesù pronuncia fuori dal Tempio di Gerusalemme alla vigilia della sua Passione, ci è offerta la “parabola dei talenti”: il Signore paragona il Regno dei Cieli a «un uomo in procinto di partire», che «affida» ciò che è suo ai servi, «a ciascuno secondo la propria capacità»; la maggior parte di essi va e mette a frutto quanto ricevuto, «guadagnando» altrettanto, ma uno preferisce sotterrare il proprio talento e ignorarne l’esistenza fino al giorno del ritorno del «padrone», quando tutti sono chiamati al rendiconto.
È evidente l’evocazione dei tempi della fine, che anche san Paolo richiama ai Tessalonicesi (II lettura): sono otto i talenti di proprietà del padrone, un numero che dice la perfezione e il compimento oltre la dimensione di ciò che è terreno, oltre il sette che è nell’orizzonte umano, nell’escaton dell’ottavo giorno; gli uomini, i servi, incrementano la proprietà del padrone di sette complessivi talenti, quanto si può fare sulla terra; qualcuno di essi non collabora e lascia improduttivo il bene che ha ricevuto, sicché questo resta nascosto sottoterra. Nessuno può realizzare al nostro posto il compito che è stato «affidato» a noi: la questione seria della nostra vita è individuare la nostra vocazione, comprendere, scoprire e assumere con consapevolezza e responsabilità i talenti ricevuti e lasciare che fioriscano in pienezza, siano essi pochi o tanti, apparentemente nobili o umili; tutti concorrono ugualmente a costruire il Regno dei Cieli; tutti, quando fioriscono, aggiungono bellezza all’unico “Corpo” e consentono che esso “cresca ben ordinato” (cfr. Efesini 2,21) per la gloria di Dio e per la «gioia» di chi li ha ricevuti e di tutta la comunità. C’è un Bene comune che si realizza nel compimento dei singoli beni particolari, c’è una «Gioia» grande, quella del «Padrone», cui siamo invitati tutti, con i nostri specifici doni, che il Signore conosce, apprezza e benedice; la «paura» però può paralizzarci: essa in ogni tempo viene dal maligno; il servo infingardo e infedele, che il padrone condanna, prova lo stesso sentimento che ha provato l’adam di fronte ai passi di Dio dopo il primo peccato («ho avuto paura»: Genesi 3,10).
Possiamo avere con il mondo, con Dio e con il prossimo un rapporto di estraneità, di sfruttamento e diffidenza, e non la relazione di famiglia, con un Padre, una casa e tanti fratelli, cui tutti siamo chiamati, evocata non a caso nella liturgia di oggi con l’immagine potente della «donna virtuosa» (I lettura, Proverbi 31), che «si procura lana e lino e li lavora con le mani», lodata per il suo impegno che trasforma il mondo e la storia, capace di custodire la pace e l’unità familiare, di rinnovare e preservare la benedizione di Dio sullo sposo e sui figli (Salmo 127, Responsorio): «l’opera delle nostre mani», scintilla della creatività di Dio in noi, è preziosa agli occhi dell'Onnipotente, a essa Egli ha affidato ogni sua creatura!