La santità, spesso, prende traiettorie imprevedibili, quasi spiazzanti. S’annida dove non si vede, risplende dove, spesso, nessuno si accorge che ci sia. Prendiamo Carlo Acutis, l’adolescente milanese morto a 15 anni nel 2006 per una leucemia fulminante e che sarà canonizzato da papa Leone XIV il 7 settembre insieme a Pier Giorgio Frassati.

Normalità, semplicità, discrezione, genialità sono le parole più utilizzate dai suoi coetanei rimasti affascinati, e anche un po’ sorpresi, da questa figura, definita il “primo santo Millennial” o, anche, il “patrono di Internet”. Al Leone XIII, l’Istituto dei padri gesuiti di Milano, frequentato da Acutis per un anno, dal settembre 2005 al settembre 2006, c’è un manifesto con il volto di Carlo e la frase “Uno di noi”. Mai slogan fu più azzeccato. Perché i ragazzi lo sentono davvero uno di loro, capace di parlare alla loro esperienza di vita, a farli interrogare sulla fede, riflettere su chi sono gli amici di Dio, fargli capire cosa vuol dire, nella città sazia e disperata, fissare lo sguardo, non sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, secondo le parole sconcertanti di San Paolo.

Scoprire che ci sono adolescenti come Carlo, gioviali, allegri, ironici che leggono la propria vita, e la storia, con lo sguardo illuminato dallo spirito di Dio. Agiscono, senza lamentarsi. Accolgono, senza giudicare. Discutono, senza voler prevaricare. Aiutano, senza ostentare. Scherzano, senza dissacrare. Santi senza piedistalli.

Fuori dalla classe 4A c’è una targa semplice semplice che ricorda che questa è l’aula dove Carlo Acutis ha frequentato le lezioni. Il suo banco è in penultima fila. Leonardo, Cristina e Filippo sono tre studenti del Leone XIII. Ad aprile – quando era in programma la cerimonia di canonizzazione poi saltata per la morte di papa Francesco – sono andati a Roma, insieme a diversi coetanei delle scuole dei Gesuiti di tutto il mondo che si sono ritrovati a Milano.

Chi è Carlo per questi ragazzi? «Uno che sentiamo vicino e fa’ in modo che possiamo avvicinarci a lui e alla fede, spesso raccontata come qualcosa che ha a che fare con gli anziani o le persone noiose», dice Leonardo, «San Francesco, ad esempio, è stato un gigante, ha vissuto secoli fa, non pensi neanche che potresti avvicinarti a lui. Con Carlo è diverso. Il fatto di condividere la stessa insegnante di matematica significa che si può vivere una vita bella, di fede, anche qui, oggi».

Cristina è rimasta colpita da un aspetto: «L’umiltà di Carlo è davvero sorprendente. In un mondo dove la fede, quando c’è, viene relegata nel privato, quasi nascosta, Carlo non si vergognava di essere credente, andare a Messa tutti i giorni ma faceva tutto questo con discrezione, quasi di nascosto».

«Ascoltando i racconti e le testimonianze dei suoi professori, alcuni dei quali sono anche i nostri, ci aiuta a sentirlo vicinissimo, come un nostro compagno di scuola», dice Filippo, «il fatto che abbia utilizzato Internet, fosse appassionato di tecnologia digitale e sapesse adoperare benissimo il computer rende l’idea stessa della santità come una possibilità aperta a tutti, non qualcosa di arcaico o polveroso».


Alcune immagini dell'Istituto Leone XIII di Milano frequentato da Carlo Acutis (foto di Giovanni Panizza)


Una vita breve quella di Acutis, ma intensa, contrassegnata da alcuni pilastri: ironia, giovialità, passione, la devozione per l’Eucarestia, l’abnegazione nei confronti degli altri.

Un tratto che Leonardo trova molto interessante: «Mi colpisce molto la sua discrezione, la volontà di non voler mai ostentare nulla di quello che faceva. Il pomeriggio, anziché starsene a casa o dedicarsi a qualche passatempo, usciva per incontrare i senzatetto e regalargli un paio di scarpe o portare qualcosa alle mense dei poveri. Oggi sui social c’è un’ostentazione, quasi una gara, a voler mostrare questi gesti. Carlo lo faceva di nascosto. Forse la scintilla di santità si vede proprio in questa normalità, anche nella devozione per l’Eucarestia. Ed è stata questa normalità di vita a “conquistare” prima i suoi genitori, che non erano particolarmente credenti, e poi tutte le altre persone».

Il normale dello straordinario, l’ordinarietà della santità: «La religione spesso è caratterizzata da esperienze che noi consideriamo irraggiungibili: miracoli, la stessa resurrezione di Gesù», sottolinea ancora Leonardo, «la vita di Carlo Acutis invece ci ricorda che la fede si può vivere ogni giorno, nelle piccole scelte che facciamo, nella preghiera, nella partecipazione alla Messa. La sua vita per me è un esempio di come si possa vivere la fede nella vita concreta di tutti i giorni».

Da anni la fama di Carlo si è allargata al mondo. Ovunque, dall'Europa agli Stati Uniti, dall'America Latina all'Asia, è conosciuto, invocato, pregato. Filippo racconta un episodio: «L’anno scorso ero andato a New York per uno scambio culturale e il professore mi aveva dato l’immaginetta di Acutis senza sapere che io provenivo dalla scuola che lui aveva frequentato. Restò sbalordito e affascinato».

La comprensione di quel che significano le vite dei santi spesso dipende anche dal modo in cui vengono raccontate, dallo storytelling. «La cosa più importante, a parte qualche eccezione, è che la sua figura non è stata mitizzata», sottolinea Cristina, «quando il professore di religione ci ha fatto vedere il sito che Carlo aveva realizzato per il volontariato del Leone XIII promuovendo e coordinando la realizzazione anche di alcuni spot per un concorso, ci fa capire quello che noi ragazzi possiamo fare per gli altri con la nostra creatività e capacità. Una santità pratica».

Di santo “della porta accanto”, citando un’espressione di papa Francesco, parla padre Vitangelo Denora, presidente del Consiglio d’amministrazione del Leone XIII: «La sua vita è una testimonianza fresca, pulita, che infonde speranza perché vedi la fiducia che vince sulla sfiducia, l’amore sul ripiegamento, il rifiuto di pensare a una vita in piccolo ma di affrontarla a testa alta, con gioia, speranza, responsabilità. Carlo non appartiene ai Gesuiti o al Leone XIII ma abbiamo ricevuto la sua vita e la sua testimonianza come un dono che “discende dall’alto”, come ricorda sant’Ignazio, negli Esercizi Spirituali. Un regalo semplice che suscita riconoscenza e interpella. E noi vogliamo raccontarlo così, senza fronzoli, abbellimenti o ricostruzioni agiografiche con l’umiltà con la quale è passato tra noi».