Restare senza casa è uno tra i peggiori incubi di ogni famiglia. A Torino, come un po' in tutta Italia, purtroppo succede. La crisi si accanisce contro le storie più fragili e quando improvvisamente il lavoro viene a mancare c'è chi, dall'oggi al domani, si ritrova senza più un tetto sulla testa. Nei casi di famiglie numerose, poi, tutto diventa più complicato, perché mancano spazi adeguati. A queste emergenze la Caritas diocesana, insieme con il Comune di Torino e una fitta rete di realtà del terzo settore, cerca di rispondere mettendo a disposizione degli alloggi temporanei, pensati per la coabitazione. Nella zona Mirafiori Nord (a due passi dallo stabilimento Fiat che per decenni è stato perno economico della città e che oggi deve fare i conti con le secche della recessione) sono state appena inaugurate due nuove case: la prima è un alloggio vero e proprio, l'altra, più ampia, un'ex comunità per minori riadattata. Entrambe possono ospitare famiglie numerose o allargate.  

Due luoghi sicuri, due piccoli ma preziosi approdi nel caos urbano, pronti ad accogliere chi si trova schiacciato in una difficilissima terra di mezzo: non ha più un posto dove stare, ma non ha ancora la possibilità di accedere alle case popolari (magari perché ha perso il lavoro da poco tempo o perché è in lista d'attesa). «Abbiamo notato – spiega Pierluigi Dovis, direttore Caritas diocesana – che spesso nelle situazioni di emergenza abitativa i nuclei familiari sono costretti a dividersi: mamme e minori da una parte, uomini dall'altra. Siamo invece convinti che proprio nei momenti di maggior difficoltà le famiglie debbano restare unite: qui hanno la possibilità di farlo». Gli alloggi, entrambi di proprietà del Comune, sono accoglienti e ben arredati: non rifugi di fortuna, ma case vere, seppur temporanee. Nell'ex comunità di via Dina 47 (5 stanze da letto, tre bagni, cucina comune, lavanderia e soggiorno, per un totale di 250 metri quadri) possono abitare 12-15 persone (cioè due o tre famiglie numerose). 7 invece sono i posti disponibili nel vicino appartamento di via Debernardi.
Soluzioni di questo tipo cercano di superare ogni forma di assistenzialismo. «Chi sceglie di abitare qui accetta la logica di condivisione e reciproca solidarietà che questo luogo implica – osserva Elide Tisi, vicesindaco e assessore alle Politiche Sociali del Comune di Torino – La nostra non vuole essere solo una risposta abitativa, ma anche sociale: gli ospiti, la cui permanenza varia da poche settimane a un anno, vengono responsabilizzati, quando possibile indirizzati verso nuove possibilità lavorative e soluzioni residenziali più stabili, come le case popolari».  
Questo progetto, dedicato in particolare alle famiglie numerose, si inserisce in un più ampio piano che si chiama Sis.Te.R. (Sistemazione Temporanea Residenziale) e si rivolge alle famiglie colpite da sfratto esecutivo per morosità incolpevole. In quasi due anni di lavoro la Caritas, in collaborazione con gli Enti pubblici e con numerosi altri soggetti (centrale il ruolo della cooperativa sociale Synergica), ha offerto ospitalità a 100 persone (di cui il 42% minori), in 9 alloggi sparsi per la città. Inoltre da un anno esiste la casa Dorho, ex studentato messo a disposizione dalla Congregazione di don Luigi Orione e adibito a coabitazione sociale, dove hanno trovato accoglienza 800 persone.
Parliamo di risposte concrete e preziose, che accendono una piccola luce in un quadro dalle tinte fosche: gli ultimi dati sull'emergenza abitativa a Torino parlano di 4.000 sfratti. Ma la speranza è che esperienze come il progetto Sis.Te.R. possano diventare un modello da replicare nello spazio e nel tempo. Rispettando la vocazione universale che si rivolge a tutti, italiani e stranieri. Tra i primi inquilini degli alloggi di Mirafiori infatti c'è anche una famiglia di 5 persone originaria della Repubblica Democratica del Congo, vittima dell'odio religioso e costretta ad abbandonare il suo Paese per intraprendere un viaggio di incertezze e sofferenze.
«Qui finalmente – ci racconta la mamma – abbiamo trovato pace e un luogo sicuro per i nostri ragazzi di 16, 9 e 8 anni. Ed è questa la città dove vorrei che i miei figli diventassero grandi»