Vorrei spezzare una lancia per il clero. Condanniamo il clericalismo, ma rispettiamo e onoriamo il clero. Troppe volte confondiamo l’uno con l’altro, riducendo il sacerdozio a un mestiere, collegato a potere e privilegi di pochi, e di un tempo lontano.

Troppa propaganda, troppa ideologia, anche tra i cattolici, e abbiamo disimparato a distinguere il grano dal loglio, appuntandoci ora sulla vanità, ora la supponenza, ora la fragilità, o le vere colpe di tanti preti. Tutto vero, per carità: parliamo di uomini. I dodici apostoli – e chissà poi i 72 discepoli inviati a due a due – non erano perfetti, né i migliori. Abbiamo dimenticato però che ai preti bisogna essere grati e voler bene.

Un abito religioso significa una vita donata, con coraggio, controcorrente, con sacrifici e grazie che fatichiamo a comprendere. Perché, dobbiamo chiederci, davanti a un ragazzo che studia per anni e anni in seminario, sceglie di non avere una famiglia propria, di essere padre in un modo diverso, non biologico, di vivere umilmente, in realtà scomode o in Paesi lontani. Perché? Non sono né strani, né fuori dal mondo. E allora sono stati scelti, e hanno detto sì. Quanto ci servono i preti, per costruire la comunità.

Tutti come battezzati siamo mandati a lavorare nella vigna del Signore: a scuola, o al lavoro, perché la fede non è dottrina o etica, ma un avvenimento che cambia e coinvolge la vita intera e il giudizio sulla realtà, per tutti. Ma a qualcuno è chiesto di più: di essere cuore e mani di Cristo per consacrare e benedire, di essere dono totale, servi di un mondo reale, non ideale, abitato da fratelli assetati di verità.

Che emozione vedere il Papa ordinare i suoi presbiteri, nella sua Roma, il mese scorso: con autorità e tenerezza, con gratitudine e fiducia. «In un tempo in cui le appartenenze sono più deboli e il senso di Dio più rarefatto, Dio non si è stancato di radunare i suoi figli».

Se ci pare che il pensiero di Dio sulla sua Chiesa sia cambiato, chiediamoci piuttosto quanto siamo mancati noi nell’annuncio del suo disegno di salvezza.

Nella preghiera per i sacerdoti, nel sostegno ai sacerdoti, nell’invito ai nostri ragazzi a non avere paura, come ha detto il Papa richiamando il noto grido di san Giovanni Paolo II: «Accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore». Perché?

Perché il Signore sceglie e invia. Perché il regno dei cieli è già qui, e il suo centuplo. Ai suoi preti poi Leone XIV ha chiesto di essere custodi della missione di Gesù, «posseduti dall’amore di Cristo… Che libera e abilita a non possedere nessuno». Così si comprende meglio il significato profondo del celibato. Dunque i preti sono i post-it della presenza di Dio nel nostro mondo, segni della sua grazia, regalo per le nostre vite. Ci sono, basta andarli a cercare. Basta mostrare loro affetto e consapevolezza di quanto spendono della loro vita per confortare, accompagnare, insegnare, spiegare la parola di Dio, perdonare, amministrare ciò che salva, i sacramenti. Donano il sacro, per questo sono sacer-doti. Clero, cioè eredi di Cristo.

(immmagine  in alto: Papa Leone XIV, nell'omelia della messa per l'ordinazione di nuovi undici sacerdoti della diocesi di Roma. Foto ANSA)


In collaborazione con Credere
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