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«Vista la situazione della crescita di arrivi e di salvataggi via mare di migranti provenienti da almeno sessanta Paesi del mondo, molti dei quali in situazione di guerra, di conflitti interni, di disastri ambientali, di miseria e rischio della propria vita dal decreto legge del 2 gennaio 2023 ci saremmo aspettati come Fondazione Migrantes della Cei nuovi impegni e nuove norme per la tutela e la protezione o il rimpatrio dei migranti salvati nel Mediterraneo, come anche norme più rigide sui respingimenti in mare, che il memorandum con la Libia nuovamente approvato ha aggravato, più che ribadire alcune regole d'ingaggio risapute e condivisibili, ulteriormente corrette e aggravate, in contraddizione con le Linee guida sul trattamento del soccorso in mare e alcune Convenzioni internazionali in almeno tre punti della modifica dell'art. 1 comma 2 del decreto legge del 21 ottobre 2020: La richiesta al comandante di avviare la procedura di domanda di protezione internazionale ( 2bis a); L'impossibilità di azioni diverse di salvataggio nel tragitto per raggiungere il porto più vicino e più sicuro (2bis d ); La difficoltà di sbarco, comunque, delle persone salvate in mare in una situazione emergenziale (2 ter)».
È la posizione del presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione Cei per le migrazioni, monsignor Gian Carlo Perego, davanti alle Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e IX (Trasporti) che stanno esaminando il “decreto Ong” entrato in vigore il 4 gennaio scorso che prevede nuove condizioni per le navi che fanno salvataggi in mare. I punti cardine del provvedimento riguardano una serie di nuove condizioni a cui le navi, in particolare quelle di ricerca e soccorso come quelle delle Organizzazioni non governative, devono attenersi a seguito delle operazioni di salvataggio in mare prima dello sbarco in un porto italiano. La prima è che «la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare» operi «in conformità ad autorizzazioni o abilitazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera» e sia «in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione». La seconda è che siano «avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità». Inoltre dev'essere «richiesta, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco». Come quarta condizione «il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità» dev'essere «raggiunto senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso». Ossia non è possibile effettuare salvataggi multipli ma dopo il primo bisogna chiedere il porto di sbarco. Devono anche essere «fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell'acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell'operazione di soccorso posta in essere». La sesta condizione è che le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non debbano aver «concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco».
Per Perego, «se si fosse voluto combattere il traffico degli esseri umani si sarebbe dovuta portare l'attenzione sul rinnovo del memorandum con la Libia piuttosto che sull'azione delle Ong, come hanno documentato tutti i rapporti Unhcr degli ultimi anni». Come pure, secondo il presidente di Migrantes, «il decreto non fa riferimento ai veri problemi che richiamano gli arrivi dal Mediterraneo: Un'attenzione all'accoglienza sull'isola di Lampedusa, con il rafforzamento delle forme di tutela sanitaria dei migranti sbarcati, l'identificazione e all'accesso al centro, il sovraffollamento del centro che genera insicurezza anzitutto dei migranti, le misure nuove per decongestionare il centro, gli arrivi autonomi dei barchini e la loro gestione, che corrispondono al 50% di tutti gli arrivi. Non una parola di nuovi accordi con i Paesi di partenza dei migranti. Non una parola sulla situazione di questi Paesi di partenza. Nessun riferimento all'Europa e, in particolare, ad accordi con i diversi paesi per l'accoglienza dei migranti richiedenti asilo e all'ampliamento di esperienze altre di ingressi regolari, come i corridoi umanitari, purché non siano limitativi e selettivi degli ingressi. Nessun riferimento, poi, il decreto ha ai flussi via terra, che hanno gli stessi numeri e ai problemi connessi sulla tutela e la protezione dei migranti».
Perego ha aggiunto che «al fine di affrontare i problemi delle migrazioni dal Mediterraneo e della tutela dei richiedenti asilo il decreto non ha nessun valore aggiunto, anzi peggiora la situazione in ordine all'obbligo del salvataggio in mare dei migranti, alla loro tutela e protezione, generando insicurezza dei migranti in pericolo». Inoltre, «il decreto indebolisce di fatto il principio costituzionale della sussidiarietà che, all'art. 118 recita “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. L'articolo 118 applicato alla specifica situazione dell'azione delle navi della società civile dovrebbe vedere lo Stato favorire e non indebolire l'impegno a realizzare questo obbligo di salvataggio e di tutela dei migranti - ha concluso -. Per queste ragioni il destino del decreto dovrebbe essere solo la sua abrogazione».
Il decreto è stato contestato da molte Ong, da Alarm Phone ad Emergency, dall'Arci ad Open Arms, da Medici senza frontiere a Sea Watch, da Sos Mediterranee a Migrantes, le varie associazioni hanno rilevato, dati alla mano, gli effetti negativi delle nuove rnorme sull'attività di soccorso. «Noi ora - ha spiegato il capo missione di Medici Senza Frontiere, Juan Matias Gil - andiamo via dopo il primo soccorso, quando prima facevamo 4-5 soccorsi in media a missione», e la media delle persone salvate è così calata da 300 ad 80. La norma, ha osservato da parte sua Giorgia Linardi di Sea Watch, «pone delle difficoltà. Ultimamente ci siamo già riorganizzati con assetti più piccoli e veloci che possano essere più presenti in area Sar».



