Gli anni scorsi per il 2 novembre andavamo sempre nel paesino dove sono nati i miei genitori, spostatisi fin da piccoli a Milano, per andare al cimitero. C’era ancora una vecchia zia che però quest’anno se ne è andata e quindi ci chiediamo se fare ugualmente il viaggio con i nostri figli, di 8 e 10 anni, per i quali quei giorni rappresentano solo le feste di Halloween… Ma io, forse perché mi ricordo ancora quando da piccolo visitavo le tombe dei parenti e ascoltavo le storie di mia nonna, sento un richiamo a fare lo stesso e a continuare questa tradizione… Devo dire che non saprei ripetere i tanti episodi della storia familiare, che comunque quando sei un bambino non registri. Però non provo tristezza, piuttosto un sentimento che so solo definire caldo.

LUIGI


Caro Luigi, direi che ti rispondi da solo evocando sensazioni che ben conosco. So bene che da bambini di solito non si è interessati ai racconti dei vecchi di famiglia sugli “antichi” di famiglia, anche se molto conta la passione e la voce del narratore. Purtroppo, crescendo e invecchiando a nostra volta, si rimpiange di non poter ricordare storie e particolari che arricchiscono l’albero genealogico delle vicende familiari. Però, come dici tu, rimane quel senso di appartenenza ricamato dalle parole, ma anche dai gesti ripetitivi, la scelta dei fiori, la lucidatura di una vecchia foto, la lettura di date lontane, magari accompagnate dal sorriso di un incontro con una persona anziana che ti rivela qualcosa di curioso su un tuo avo. Come l’arcigno signore con i baffoni nella foto in bianco e nero che si rivela il giovane scavezzacollo di un tempo uso a mille pazzie… Non credo si debba evitare ai più giovani un pensiero sulla morte vera (che nulla ha a che fare con gli scheletri finti e i fantasmi dei loro giochi) che evoca sempre la vita vera, da ricordare e continuare.