«Viviamo in una società che si sta ammalando a causa di una bulimia delle connessioni dei social media: siamo iperconnessi, bombardati da immagini, talvolta anche false o distorte. Siamo travolti da molteplici messaggi che suscitano in noi una tempesta di emozioni contraddittorie».

È la denuncia di papa Leone XIV all’udienza generale – la prima dopo la pausa di luglio – in una piazza San Pietro assolata e gremita, tra gli altri, di giovani che stanno celebrando in questi giorni il loro Giubileo e che martedì sera hanno incontrato il Pontefice il quale, a sorpresa, è arrivato in piazza per salutarli al termine della messa di apertura presieduta da monsignor Rino Fisichella.

«Abbiamo bisogno di chiedere al Signore di guarire il nostro modo di comunicare, non solo per essere più efficaci, ma anche per evitare di fare male agli altri con le nostre parole», dice il Papa, «dobbiamo «imparare a comunicare in modo onesto e prudente. Preghiamo per tutti coloro che sono stati feriti dalle parole degli altri».

Il Pontefice, nella catechesi, prende spunto dal miracolo compiuto da Gesù che guarisce una persona sordomuta e raccontato dal Vangelo di Marco: «Proprio come potrebbe accadere a noi oggi», commenta il Pontefice, «quest’uomo forse ha deciso di non parlare più perché non si è sentito capito, e di spegnere ogni voce perché è rimasto deluso e ferito da ciò che ha ascoltato. In effetti, non è lui che va da Gesù per essere guarito, ma viene portato da altre persone. Si potrebbe pensare che coloro che lo conducono dal Maestro siano quelli che sono preoccupati del suo isolamento. La comunità cristiana ha visto però in queste persone anche l’immagine della Chiesa, che accompagna ogni uomo da Gesù affinché ascolti la sua parola. L’episodio avviene in un territorio pagano, quindi siamo in un contesto dove altre voci tendono a coprire quella di Dio».

Il tema della guarigione è al centro dell’episodio evangelico e il Papa ricorda che «questo tempo che stiamo vivendo ha bisogno di guarigione. Il nostro mondo è attraversato da un clima di violenza e di odio che mortifica la dignità umana».

E sull’iperconnessione e la bulimia dei social è perentorio: «In questo scenario è possibile che nasca in noi il desiderio di spegnere tutto. Possiamo arrivare a preferire di non sentire più niente. Anche le nostre parole rischiano di essere fraintese e possiamo essere tentati di chiuderci nel silenzio, in una incomunicabilità dove, per quanto vicini, non riusciamo più a dirci le cose più semplici e profonde».



Leone si sofferma sul comportamento di Gesù quando gli viene portato la persona sordomuta che, dice il Papa, «può apparire inizialmente strano, perché prende con sé questa persona e la porta in disparte. Sembra così accentuare il suo isolamento, ma a ben guardare ci aiuta a capire cosa si nasconde dietro il silenzio e la chiusura di quest’uomo, come se avesse colto il suo bisogno di intimità e di vicinanza. Gesù», continua il Papa, «gli offre prima di tutto una prossimità silenziosa, attraverso gesti che parlano di un incontro profondo: tocca le orecchie e la lingua di quest’uomo. Gesù non usa molte parole, dice l’unica cosa che gli serve in questo momento: “Apriti!”. Marco riporta la parola in aramaico, effatà, quasi per farcene sentire come “dal vivo” il suono e il soffio. Questa parola, semplice e bellissima, contiene l’invito che Gesù rivolge a quest’uomo che ha smesso di ascoltare e di parlare. È come se Gesù gli dicesse: “Apriti a questo mondo che ti spaventa! Apriti alle relazioni che ti hanno deluso! Apriti alla vita che hai rinunciato ad affrontare!”. Chiudersi, infatti, non è mai una soluzione».

Il Papa sottolinea che «dopo l’incontro con Gesù, quella persona non solo torna a parlare, ma lo fa “correttamente”. Questo avverbio inserito dall’evangelista», sottolinea il Papa, «sembra volerci dire qualcosa in più sui motivi del suo silenzio. Forse quest’uomo ha smesso di parlare perché gli sembrava di dire le cose in modo sbagliato, forse non si sentiva adeguato. Tutti noi facciamo esperienza di essere fraintesi e di non sentirci capiti. Tutti noi abbiamo bisogno di chiedere al Signore di guarire il nostro modo di comunicare, non solo per essere più efficaci, ma anche per evitare di fare male agli altri con le nostre parole».

Dopo il saluto in varie lingue ai pellegrini presenti, il Papa ha ribadito il suo «profondo dolore per il brutale attentato terroristico avvenuto nella notte tra il 26 e 27 luglio scorso a Komanda, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove oltre quaranta cristiani sono stati uccisi in chiesa, durante una veglia di preghiera e nelle proprie case. Mentre affido le vittime all'amorevole misericordia di Dio», il suo appello, «prego per i feriti e per i cristiani che nel mondo continuano a soffrire violenze e persecuzioni esortando quanti hanno responsabilità a livello locale e internazionale a collaborare per prevenire simili tragedie».

Il Papa ha ricordato inoltre che il 1° agosto ricorrono i 50 anni della firma del Trattato di Helsinki, espressione di una volontà condivisa di pace e cooperazione tra Est e Ovest e frutto di anni di diplomazia silenziosa, di dialoghi ostinati e di visioni lungimiranti che la prepararono e al quale partecipò anche la Santa Sede: «Oggi più che mai è indispensabile custodire lo spirito di Helsinki, perseverare nel dialogo, rafforzare la cooperazione e fare della diplomazia la via privilegiata per prevenire e risolvere i conflitti», ha detto il Pontefice rilanciando la “lezione” di quell’atto per la situazione attuale.