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Pubblichiamo uno stralcio della presentazione di don Armando Matteo, teologo e segretario per la sezione dottrinale del Dicastero per la Dottrina della fede, al volume di papa Francesco L'amore di Dio è per tutti (San Paolo).
Evangelii gaudium, al numero 264, rivela l’ingrediente segreto, il centro propulsivo, il cuore e il fuoco di ogni zelo apostolico e di ogni autentica passione evangelizzatrice: «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale.
Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: “Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi” (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa la-sciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo” (1Gv 1,3).
La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in que-sto modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Per-ciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di ri-scoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri».
Non è un caso che il ciclo di catechesi qui raccolto parti proprio dal racconto della vocazione di Matteo, un racconto che è da sempre al cuore del magistero di Papa Francesco. Nell’Ufficio di Letture del 21 settembre è prevista l’omelia 21 di san Beda il Venerabile, di cui riportiamo l’inizio e a cui Papa Francesco si è ispirato per il suo motto, prima episcopale e poi papale (Miserando atque eligendo): «Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi” (Mt 9,9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, sic-come lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”. Gli disse “Seguimi”, cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti “chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). “Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì” (Mt 9,9). Non c’è da meravigliarsi che un pubbli-cano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con un’invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili».
Proprio nella prima delle catechesi qui raccolte Papa Francesco offre un altrettanto mirabile commento al testo con cui l’evangelista Matteo narra della propria vocazione ovvero del proprio incontro con lo sguardo unico e profondo di Gesù: «Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Mat-teo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì…» (Mt 9,9). Anticipiamo qui almeno un passaggio di questa prima catechesi: «Tutto ini-zia da Gesù, il quale “vede” – dice il testo – “un uomo”. In pochi vedevano Matteo così com’era: lo conoscevano come colui che stava “seduto al ban-co delle imposte” (v. 9). Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che ri-scuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un “pubblicano”, così si chiamava. Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza. State attenti a questo: Gesù non si ferma agli aggettivi, Gesù sempre cerca il sostantivo. “Questo è un peccatore, questo è un tale per quale…” sono degli aggettivi: Gesù va alla persona, al cuore, questa è una persona, questo è un uomo, questa è una donna, Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo, lascia perdere gli aggettivi. E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza – perché loro vedevano l’aggettivo, “pubblicano” –, Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è ama-to da Dio; “Anche questo disgraziato?”. Sì, anche questo disgraziato, anzi Lui è venuto per questo disgraziato, lo dice il Vangelo: “Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti”.
Questo sguardo di Gesù che è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della pas-sione evangelizzatrice. Con il suo sguardo puntato sull’essenziale di ogni esistenza, Gesù ha libera-to Matteo dalle piaghe di uno sguardo altrui che aveva azzoppato qualsiasi possibilità di cambiamento, di conversione, di nuovo esercizio della propria liberà. Con il suo sguardo elementare, Gesù ha liberato la libertà di Matteo.
Ha rimesso in mano a Matteo la sua vita. E quest’ultimo non si è lasciato sfuggire questa occasione di vera rinascita. Si è alzato, ha lasciato i suoi affari e si è messo alla sequela di Gesù e al servizio della diffusione del suo Vangelo. Come Matteo, in verità, siamo chiamati tutti noi a portare quello sguardo – che è bellissimo, diceva sopra Papa Francesco – al mondo intero. Il ciclo di catechesi sullo zelo apostolico non può a questo punto che conti-nuare con una doppia sosta proprio su Gesù quale modello e maestro dell’annuncio.
Quanto sono belle alcune espressioni presenti in queste pagine. Penso in particolare alla locuzione di “cuore pastorale” per dire tutto l’affetto e la dedizione di Gesù per annunciare il regno di Dio, penso all’espressione di quell’“irriducibile nostalgia” che Gesù ha di noi. L’incontro con Gesù per ogni uomo e per ogni donna è allora tempo e luogo di gioia, di liberazione, di luce, di guarigione e di stupore.



