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«Non c'è nulla di più umano, nulla di più divino, del saper dire: ho bisogno. Non temiamo di chiedere, soprattutto quando ci sembra di non meritarlo. Non vergogniamoci di tendere la mano. È proprio lì, in quel gesto umile, che si nasconde la salvezza perché nessuno di noi può bastare a sé stesso. Nessuno può salvarsi da solo».
È la riflessione di papa Leone XIV all’udienza generale in piazza San Pietro in cui, riprendendo il ciclo di catechesi dell’Anno giubilare “Gesù Cristo nostra speranza”, riflette sulla sete di Gesù in croce prima di morire: «Questa richiesta», dice, «manifesta la sua umanità e anche la nostra. La vita si compie non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere. E proprio in quel momento, dopo aver ricevuto da mani estranee una spugna imbevuta di aceto, Gesù proclama: “È compiuto”. L’amore si è fatto bisognoso, e proprio per questo ha portato a termine la sua opera. Questo è il paradosso cristiano: Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando fino in fondo la debolezza dell’amore».
Il Papa è arrivato in piazza San Pietro poco prima della 10, a bordo della papamobile scoperta, e ha percorso tutti i settori della piazza delimitata dal colonnato del Bernini salutato dagli applausi della folla. Dopo la recente “pausa” in Aula Paolo VI, a causa delle alte temperature estive, il tradizionale appuntamento del mercoledì – il primo del mese di settembre – è tornato a svolgersi in piazza. Lungo le transenne, come di consueto, sono stati i bambini che Leone XIV ha baciato e accarezzato, ricevendo in dono anche curiosi oggetti, come un piccolo pupazzo di pezza vestito da Papa. Moltissimi le bandiere e gli striscioni con scritte variopinti, esibiti dai fedeli tra un sottofondo allegro di musica popolare con protagonista la fisarmonica.
Prevost, nella catechesi, si è soffermato sulla sete di Gesù prima di morire in croce. È anche «sete di amore, di senso, di giustizia». Per questo, «la sete di Gesù sulla croce è allora anche la nostra. È il grido dell'umanità ferita che cerca ancora acqua viva. L'uomo non si realizza nel potere ma nell'apertura fiduciosa all'altro, persino quando ci è ostile e nemico. Viviamo in un tempo che premia l'autosufficienza, l'efficienza, la prestazione. Eppure, il Vangelo ci mostra che la misura della nostra umanità non è data da ciò che possiamo conquistare, ma dalla capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare».
Leone ha sottolineato più volte che la sete di Gesù sulla croce è anche la nostra perché rappresenta «il grido dell’umanità ferita che cerca ancora acqua viva. E questa sete non ci allontana da Dio, piuttosto ci unisce a Lui. Se abbiamo il coraggio di riconoscerla, possiamo scoprire che anche la nostra fragilità è un ponte verso il cielo», assicura, «proprio nel chiedere – non nel possedere – si apre una via di libertà perché smettiamo di pretendere di bastare a noi stessi. Nella fraternità, nella vita semplice, nell’arte di domandare senza vergogna e di offrire senza calcolo, si nasconde una gioia che il mondo non conosce», ricorda il Papa, «una gioia che ci restituisce alla verità originaria del nostro essere: siamo creature fatte per donare e ricevere amore. Nella sete di Cristo possiamo riconoscere tutta la nostra sete».
Il Pontefice ricorda che il grande insegnamento che arriva dalla Croce: «La salvezza non sta nell’autonomia, ma nel riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere», spiega, «il compimento della nostra umanità nel disegno di Dio non è un atto di forza, ma un gesto di fiducia. Gesù non salva con un colpo di scena, ma chiedendo qualcosa che da solo non può darsi. E qui si apre una porta sulla vera speranza: se anche il Figlio di Dio ha scelto di non bastare a sé stesso, allora anche la nostra sete – di amore, di senso, di giustizia – non è un segno di fallimento, ma di verità».
Ma la sete di Cristo, è la riflessione del Papa nella catechesi, è il segno più evidente che «sulla croce, Gesù non appare come un eroe vittorioso, ma come un mendicante d’amore. Non proclama, non condanna, non si difende. Chiede, umilmente, ciò che da solo non può in alcun modo darsi. La sete del Crocifisso non è soltanto il bisogno fisiologico di un corpo straziato», sottolinea, «è anche, e soprattutto, espressione di un desiderio profondo: quello di amore, di relazione, di comunione. È il grido silenzioso di un Dio che, avendo voluto condividere tutto della nostra condizione umana, si lascia attraversare anche da questa sete. Un Dio che non si vergogna di mendicare un sorso, perché in quel gesto ci dice che l’amore, per essere vero, deve anche imparare a chiedere e non solo a dare».
Al termine della catechesi, il Papa ha salutato i fedeli in varie lingue. Nel saluto a quelli polacchi ha citato Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che proclamerà santi domenica prossima: «Settembre sia un mese di preghiera per i bambini e i giovani che tornano a scuola e per coloro che si prendono cura della loro istruzione. Chiedete per loro, per intercessione dei beati, e presto santi, Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, il dono di una fede profonda nel loro cammino di maturazione».
Prima dei saluti ai fedeli di lingua italiana, il Papa ha lanciato un appello per il Sudan: «È tempo di avviare un dialogo serio, sincero e inclusivo tra le parti per porre fine al conflitto e restituire al popolo del Sudan speranza, dignità e pace. Dal quel Paese, e in particolare dal Darfur, giungono notizie drammatiche», le parole di Leone XIV, «a El Fasher numerosi civili sono intrappolati in città, vittime di carestie e violenze. A Tarasin, una frana devastante ha causato moltissimi morti, lasciando dietro di sé dolore e disperazione. E come se non bastasse, la diffusione del colera minaccia centinaia di migliaia di persone già stremate. Sono più che mai vicino alla popolazione sudanese, in particolare alle famiglie, ai bambini e agli sfollati. Prego per tutte vittime. Rivolgo un appello accorato ai responsabili e alla comunità internazionale, affinché siano garantiti corridoi umanitari e si attui una risposta coordinata per fermare questa catastrofe umanitaria».



