PHOTO
«In questo momento non possiamo confermare la veridicità o meno di questa notizia. Io l’ho saputo ieri sera (lunedì, ndr) e ci siamo messi subito in contatto con i Gesuiti e con la comunità di Mar Musa per avere conferme che non sono arrivate, almeno per ora. In questa fase bisogna avere prudenza e andare con i piedi di piombo. Già in passato erano giunte notizie analoghe poi smentite dall’esame del Dna».
È quanto fa sapere il cardinale Mario Zenari, Nunzio apostolico in Siria, sul presunto ritrovamento in una fossa comune nei pressi di Raqqa di un cadavere di un uomo con abiti religiosi che potrebbe essere quello di padre Paolo Dall’Oglio, perseguitato dal regime di Bashar al-Assad e poi scomparso proprio a Raqqa nel 2013. «Si tratta di una zona molto pericolosa, instabile e rischiosa dove è difficile andarci», spiega Zenari, «negli ultimi anni sono state fatte diverse ricerche ma senza esito. In tutto questo tempo sono state seguite tutte le piste, alcune erano già false alla partenza, altre più o meno verosimili. Se adesso fosse confermato questo ritrovamento saremmo al termine di un lungo e doloroso cammino anche se non abbiamo mai perso la speranza di ritrovare padre Dall’Oglio ancora vivo».
La notizia del possibile ritrovamento, è stata riferita al settimanale Oggi dal vescovo armeno-cattolico di Qamishlie, nel Nord del Paese, monsignor Antranig Ayvazian, che all’Ansa ha detto: «Penso che non c'è nessun interesse a dire bugie su questo caso: sono passati 11 anni e già sette anni fa avevo notato ed informato la Nunziatura apostolica che, secondo mie fonti, padre Paolo dall' Oglio era stato ucciso da un Emir (un comandante, ndr) dell'Isis, un saudita la cui confessione figurava anche sul Guardian e su un giornale arabo pubblicato a Londra, dove in prima pagina c'era questa notizia di due righe».
La fossa comune, spiegano fonti della Farnesina che non ha confermato, sarebbe stata trovata da un gruppo di scavatori che fanno capo alle Sdf (Forze Democratiche Siriane). Il vescovo locale ha chiesto l'intervento del capo delle Sdf, Mazloum Abdi, per le verifiche necessarie. L'ambasciata d'Italia a Damasco è in contatto con il vescovo e con altre autorità per gli aggiornamenti del caso.
Prudenza totale anche da parte di padre Hanna Jallouf, vicario apostolico per il Vicariato apostolico di Aleppo: «Si tratta di una notizia incerta, impossibile da confermare al momento», ha detto al Sir, «non abbiamo nessuna informazione precisa a riguardo, né io, né il nunzio né i gesuiti, ordine di appartenenza di padre Dall'Oglio. Sappiamo di un ritrovamento di una fossa comune dentro la quale sarebbero stati rinvenuti dei corpi di persone con indosso dei segni religiosi. Attendiamo di saperne di più, di avere certezze prima di esprimerci. Indagini sono in corso. A guidarci in questo momento devono essere la preghiera e la prudenza».
A commentare la notizia è intervenuta anche la famiglia: «In questi anni ci sono state spesso fake news, questa per me non è una notizia vera», ha detto la sorella Francesca a Rainews 24, «si parla di un corpo con abiti religiosi ma mio fratello aveva abiti civili». Dodici anni fa il padre gesuita romano – era il 29 luglio 2013 – è scomparso nel nord della Siria all'epoca occupato dallo Stato Islamico, dove era andato per trattare la liberazione di alcuni ostaggi.
Nel 2020 l'altra sorella di Padre Paolo, Immacolata, ha partecipato al docufilm Ayouni che racconta il dolore dei familiari dei tanti spariti in Siria. «Paolo è nato nove anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale – ha detto nel film la donna - è stato giovane a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, ed è un figlio del Concilio Vaticano II, che credeva nel dialogo religioso come condivisione della profondità dell’esperienza di fede».
Cos'è la comunità di Mar Musa fondata da Dall'Oglio
La comunità fondata da Dall’Oglio si trova a 80 chilometri da Damasco. Aggrappato alla roccia, Mar Musa (per esteso Deir Mar Musa al-Habashi, letteralmente il Monastero di San Mosè l'Etiope) è ponte tra Occidente e Oriente.
«La faccenda cominciò nell’agosto del 1982», ricordava in una lettera da Beirut, del 1985, il protagonista, padre Paolo, «per fare i miei esercizi spirituali scelsi allora di andare al monastero diroccato di Mar Musa, chilometri da fare in parte a piedi, ad est della cittadina di Nebek, in una zona dirupata e deserta della Siria centrale... Se una chiesa di pietre non è l’espressione di una comunità vivente, andrà certo in rovina; il nostro monastero in rovina ci chiama a ricostruire una chiesa viva». Quel luogo e la spiritualità che ne emana diventarono la missione del giovane gesuita.
Nel corso degli anni la visione teologica e spirituale di padre Paolo ha coinvolto un gran numero di persone, le ha colpite, cambiando il corso delle loro esistenze.
Dal 1982 il monastero di Mar Musa al-Habashi, è diventato un saldo punto di riferimento per il dialogo islamo – cristiano ed è passato attraverso numerose trasformazioni, sopravvivendo alla guerra, alla minaccia dell’Isis e al rapimento del suo fondatore avvenuto a Raqqa il 29 luglio 2013 e anche alla recente conquista del potere da parte di Hayat Tahrir al-Sham (Htm), gruppo di matrice jihadista erede di al-Nusra, dopo la caduta del regime ultradecennale di Bashar al Assad.
La comunità di Mar Musa oggi è costituita da sei monaci – quattro uomini e due donne – ed è guidata dal priore, Jihad Youssef. A questi si aggiungono i laici che a vario titolo lavorano e collaborano con la comunità. In una recente intervista ad Avvenire il priore aveva detto riferendosi alla caduta di Assad: «Non mi stupisce vedere le foto di Paolo durante le celebrazioni per la fine del regime. È una delle icone della Siria libera. La sua immagine non è solo nelle piazze ma nei cuori di tante persone di ogni fede e orientamento. Di continuo incontro qualcuno che mi parla di lui».



