«Adelante, adelante». La porta dell’arcivescovado è aperta e monsignor Emilio Aranguren Echeverría è sulla soglia a parlare con la gente. Attorno a lui fervono i preparativi per la visita del Papa, il primo a venire nella diocesi di Holguín, 700 chilometri a sud della capitale. «La gente è felice di questa attenzione e speriamo che questo dia un maggior impulso per una vera conversione di vita per il Paese e per Holguín. Mi piace sottolineare che il Vangelo della Messa che il Papa celebra qui è quello della chiamata di Matteo, da esattore delle tasse a discepolo. Anche per noi questa è una chiamata». Una diocesi giovane, quella di Holguin, voluta da Giovanni Paolo II nel gennaio del 1979. «Fu un gesto audace in quel momento tanto difˆcile, creare una nuova diocesi nel Paese. Un primo segnale di volontà di dialogo e di vicinanza ai fedeli», spiega il vescovo.
 
Quanto ha contribuito la Chiesa cattolica alla riapertura del dialogo con gli Stati Uniti?
«Va ricordato che già nell’aprile del 1968 i vescovi cubani avevano scritto un piano pastorale sul dialogo. Si prendeva spunto da Paolo VI che, all’inizio del suo pontiˆficato, aveva scritto una bellissima enciclica – Ecclesiam suam – proprio sul dialogo, tra le persone, in famiglia, tra il popolo, con il Governo, tra le religioni. Questo ci ha guidati in tutti questi anni. Abbiamo mantenuto questa disposizione al dialogo: un dialogo come cammino di incontro, di comprensione, di riconciliazione. La Chiesa cattolica ha una grande credibilità presso il popolo perché è stata un elemento di coesione sociale, per il suo impegno con gli anziani, i detenuti, le famiglie in difˆficoltà, e perché ha mantenuto sempre aperta la porta creando così le condizioni per quello che stiamo vivendo adesso».

Quanto ha inciso papa Francesco?
«Nel volo di ritorno dell’ultimo viaggio in America latina ha spiegato che non è stato lui il protagonista, ma che ha visto due Paesi che si volevano incontrare e che ha cercato di creare le condizioni perché ciò accadesse. Il popolo ha una necessità di incontro che è un incontro non solo tra Paesi, ma tra persone, tra famiglie che si sono rotte per un motivo ideologico e che scoprono che si può costruire insieme».

Con la fine dell’embargo temete che la gente possa essere tentata dal consumismo?
«Intanto l’embargo non è ancora terminato. Speriamo lo sia presto. Ci prepariamo con la formazione. Abbiamo, tra noi, sacerdoti e religiose che vengono dall’Est Europa e abbiamo visto come si sia passati da una educazione marxista a un materialismo pratico. La transizione deve essere accompagnata per evitare esperienze di esclusione e, invece, mettere in luce i valori di solidarietà e sobrietà che ci sono nella società. Dobbiamo approfondire la formazione cristiana, la nostra identità per far sì che chi vive la fede abbia la capacità di comportarsi da cristiano. Denaro, piacere e potere non possono essere i valori guida. Finora per i cubani non è stato così, speriamo che non lo sia neanche in futuro».