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Il 24 giugno la liturgia fa memoria di San Giovanni Battista, celebrato come patrono in numerosi comuni italiani, da Nord a Sud. Tra le città più grandi spiccano Torino, Genova e Firenze. Giovanni il precursore, Giovanni la “voce che grida nel deserto”: è una figura di grande attualità quella cui la Chiesa rivolge lo sguardo, in una festa che spesso unisce i riti della liturgia a tradizioni antiche ed espressioni della religiosità popolare.
A Torino quest'anno le celebrazioni si caricano di un significato speciale: nel giorno di San Giovanni si conclude infatti l'Ostensione della Sindone, evento che per oltre due mesi ha portato la città a confrontarsi col mondo, richiamando pellegrini dai cinque continenti. Non solo: sono passate poche ore dalla visita di papa Francesco, svoltasi tra il 21 e il 22 giugno. La città, che ha accolto il Santo Padre con straordinario entusiasmo, conserva immagini ed emozioni ancora calde. Per questo durante la Messa, monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha voluto tracciare un rapido bilancio di un periodo particolarmente ricco per la chiesa piemontese. «Se ora rivolgo lo sguardo sulla nostra diocesi e città e valuto come ha vissuto questi mesi intensi di Ostensione e di preparazione e accoglienza di papa Francesco, debbo riconoscere quanto il Signore sia stato buono e provvidente, aiutandoci a svolgere con frutto il grande impegno dell’Ostensione traendone fecondi risultati per la vita delle nostre comunità e del territorio».
Quanto alla figura del Battista, monsignor Nosiglia ne ha evidenziato la fermezza e il rifiuto di ogni compromesso, descrivendolo come «testimone in modo particolare della verità circa il matrimonio e l’amore coniugale fedele e indissolubile». Il precursore, che ha avuto «il coraggio di dire la verità in faccia ai potenti», tuttora può essere un punto di riferimento per le famiglie cristiane, «pressate come sono da una cultura basata sull’individualismo e il tentativo di minare nella fondamenta il matrimonio e la famiglia», perché riescano, oggi come nei secoli passati, a essere «segno di contraddizione e di speranza».


In Liguria la festa del patrono cade in un momento difficile: l'emergenza profughi a Ventimiglia, il tema dell'accoglienza divenuto terreno di scontro, con aspre critiche rivolte alla Chiesa da alcuni esponenti del mondo politico. E' anche per questo che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei, ha voluto inserire nella sua omelia un chiaro riferimento alla condizione dei migranti. «Assistere alla finestra – ha ricordato - forse indifferenti od indolenti o disinteressati, stando a guardare senza portare contributi, non fa crescere né la comunità, né noi stessi». Il Cardinale ha ricordato come la «miopia e fragilità di cristiani» in realtà non appartengano alla tradizione del popolo italiano: lo dimostrano, tra l'altro «le chiese presenti in ogni città e contrada e le 225 diocesi» disseminate sul territorio nazionale, segno di una radicata cultura di «accoglienza e ascolto». «Non si discrimina – ha affermato il presule – si accoglie nella verità di ciascuno e nelle molte situazioni diverse». Da qui l'esortazione, rivolta tanto alle comunità ecclesiali quanto alla società laica, a impegnarsi quotidianamente nella, seppur difficile, sfida dell'accoglienza, «o almeno a provarci», mettendo da parte ogni sguardo «staccato, critico e polemico». Anche da questo punto di vista Giovanni, che «ci ha rimesso la vita» può diventare un esempio di coerenza. A margine della celebrazione il presidente Cei è tornato sull'argomento «L’Italia - ha affermato - fa la sua parte, l’Europa non la fa e la comunità internazionale tanto meno. L’Europa e l’Occidente si involvono, a mio parere, sempre di più su se stesse come se continuassero ad essere, in particolare l’Europa, il centro del mondo ma l’Europa non è più il centro del mondo».


Altra città, altra sfumatura della vita del Battista. Sul fronte della verità, ha osservato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, «si sta consumando un confronto difficile per la testimonianza dei credenti nel nostro tempo». In varie aree del pianeta, per migliaia di cristiani «ciò accade nelle forme cruente della persecuzione: dobbiamo tenerli vivi nei nostri cuori, sostenendoli con la preghiera e richiamando chi ha responsabilità politiche nel mondo perché ovunque sia riconosciuta e difesa la libertà religiosa». Davanti a tutto questo la comunità dei credenti non può voltare le spalle: «è un confronto a cui non possiamo sottrarci; non, come da molte parti ci viene rimproverato, per volontà di egemonia. Al contrario, per servizio all’uomo, alla sua identità integrale, per contribuire alla ricostruzione della sua dimensione autenticamente umana in un mondo in cui la dignità della persona e il bene comune sono spesso disattesi e in cui c’è anche chi va profilando come inevitabile la scomparsa della nostra specie, per passare a un’era trans-umana o post-umana».



