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Un'accoglienza che, in tutti e tre i casi, portò con sé scontri con le istituzioni e polemiche politiche. Perché se nel 2005 la Casa della carità fu criticata da chi allora smantellava i campi senza preoccuparsi della fine che avrebbero fatto gli uomini, le donne e i bambini che lì vivevano, nel 2006 Colmegna e i suoi dovettero affrontare la triste vicenda di Opera. Successe che nel comune alle porte di Milano vennero incendiate le tende che avrebbero dovuto accogliere, provvisoriamente, decine di famiglie sgomberate da un campo. E la Casa della carità era lì, con i suoi operatori e i suoi volontari, ad assistere i rom e a iniziare con loro percorsi di inclusione sociale. Nel 2007, don Colmegna e il suo braccio destro di allora, don Massimo Mapelli, opposero un digiuno di solidarietà e un'ospitalità itinerante nelle parrocchie della città alle politiche comunali degli sgomberi senza alternative. Lo “Stare nel mezzo” tornò ad aprire l'auditorium per accogliere i profughi dell'emergenza Nordafrica (2011) e quelli in fuga dalla Siria (2014).
Ma la vicenda dove più di tutte la Casa della carità portò avanti il metodo dello “Stare nel mezzo” fu quella della chiusura, tra il 2009 e il 2011, del campo rom di via Triboniano, uno dei più grandi d'Italia. La Casa della carità aveva il compito, su mandato delle istituzioni, di accompagnare l'uscita positiva delle famiglie dal campo. Un obiettivo che, “stando nel mezzo”, e nonostante le difficoltà, venne comunque raggiunto.



