Quando accoglierai Gesù, sarai un influencer che porta la sua voce affinché le persone possano uscire dalle loro tombe». Bastano queste parole del cardinale Luis Antonio Tagle, pronunciate nella Basilica di San Pietro durante la Messa giubilare degli influencer cattolici, per comprendere quanto profonda sia la posta in gioco nella missione digitale della Chiesa. Il porporato filippino, con la sua consueta capacità di coniugare teologia, spiritualità e lettura dei tempi, non ha proposto uno slogan, ha consegnato una visione: quella di un influencer che smette di misurarsi in visualizzazioni e inizia a misurarsi in resurrezioni. E’ un invito radicale: in un mondo in cui “influenzare” è diventato sinonimo di monetizzazione, di marketing, di pressione algoritmica, Tagle ha restituito al termine la sua radice originaria: influere, fluire dentro. La domanda, allora, si fa inevitabile: che cosa stiamo facendo fluire nel cuore degli altri? Da quali “stelle” provengono i nostri contenuti? Nell’omelia, il cardinale ha tracciato un discernimento necessario: la rete può essere veleno o medicina, strumento di manipolazione o via di liberazione. L’influencer cristiano, ha detto senza mezzi termini, non può essere neutro. «Non siete solo influencer, ma missionari»: per un influencer cattolico non c’è spazio per la retorica narcisistica che talvolta ammorba i feed, Tagle, infatti, ha richiamato ogni evangelizzatore digitale alla sua vera vocazione: non produrre contenuti, ma generare vita. Il porporato ha insistito su ciò che distingue l’annuncio cristiano da ogni altra forma di comunicazione: Dio non ha mandato un link, ma Suo Figlio, non ci ha raggiunti con un messaggio generato da intelligenza artificiale, ma con un corpo, un volto, un cuore. L’amore, ha detto, non nasce da un algoritmo, per questo, chi è missionario nel digitale non può accontentarsi di tecniche e strategie: deve lasciarsi cambiare dall’amore che proclama, deve essere canale e non barriera, fluido di misericordia e non di controllo.
Ma il cuore del messaggio, come sempre in Tagle, non è mai un richiamo moralistico, il presule filippino consegna una parola che consola, che incoraggia, che chiama alla bellezza: quella di essere, come Marta, Maria e Lazzaro, amici di Gesù. Figure che diventano paradigma di ciò che ogni missionario digitale è chiamato a vivere. Marta che serve con zelo, Maria che ascolta con il cuore, Lazzaro che torna in vita perché ha udito la voce del Maestro. È in questa triade che si gioca la verità dell’influenza cristiana: non fare colpo, ma far spazio; non dire tutto, ma ascoltare davvero; non raccogliere consensi, ma suscitare speranza. L’influencer missionario, ha detto il cardinale, è colui che aiuta le persone a uscire dalle loro tombe. In un tempo in cui le parole corrono più delle relazioni e i numeri contano più dei volti, l’Eucaristia celebrata da Tagle ha rimesso al centro ciò che davvero conta: la persona di Gesù e la capacità di lasciarsi influenzare da Lui. La sua omelia è stata un esame di coscienza per chiunque abiti le reti con intenzioni evangeliche. Ma è stata anche una carezza: «Gesù vi ama, non dubitatene», ha detto con la tenerezza di un padre. È da qui che può ripartire ogni missione: dalla certezza di essere amati, e dall’urgenza di rendere quell’amore contagioso. Forse, davvero, la sfida non è più far crescere il proprio pubblico, ma farlo risorgere.