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Arlecchino è forse una delle maschere italiane più riconoscibili al mondo. Le sue origini si perdono tra i rituali popolari medievali e le tournée della Commedia dell’Arte, attraversando secoli e confini. Ma è nel Novecento, con la regia di Giorgio Strehler, che il suo volto torna a incarnare un teatro universale: Arlecchino servitore di due padroni, debuttato il 24 luglio 1947, diventa il simbolo del Piccolo Teatro e un fenomeno internazionale per oltre cinquant’anni. Arlecchino continua quindi a mutare, a rispecchiare le epoche e le culture che lo accolgono. È questa capacità di metamorfosi, più che la tradizione stessa, ad aver ispirato il nuovo progetto nato tra Milano e Yaoundé: Njangui – Toujours Ensemble!, un laboratorio teatrale itinerante, promosso dall’Ambasciata d’Italia in Camerun e dal Piccolo, che lo scorso settembre ha riunito venti artiste e artisti provenienti da Camerun, Francia, Germania, Italia e Spagna. L’idea di fondo è semplice ma potente: usare la maschera di Arlecchino come strumento di incontro, come figura capace di accogliere e rimescolare culture diverse. In questa prospettiva è nata la connessione con un concetto camerunese, il njangui: una parola che in una delle lingue locali indica una forma di scambio mutualistico, una colletta comunitaria che permette di far partire piccole attività economiche. «È un sistema di fiducia reciproca», racconta il regista Stefano De Luca. «Quando qualcuno vuole avviare un’attività ma non ha fondi, lancia un njangui: ogni persona del villaggio contribuisce con una piccola somma per sostenerla. È un’economia che nasce dal basso, dal legame umano, non dalle banche».
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n Camerun, lo njangui è più di un sistema economico: è una pratica di solidarietà quotidiana, un modo di pensare le relazioni. A differenza della logica individualista che domina molte società occidentali, qui la sopravvivenza si fonda sulla fiducia reciproca e sul mutuo sostegno. L’individuo non si afferma da solo: cresce insieme alla comunità che lo sostiene. È da questo principio che il gruppo europeo ha preso spunto per reinventare Arlecchino e le altre maschere della Commedia dell’Arte in chiave collettiva, come strumenti di dialogo e non di rappresentazione. Il laboratorio si è trasformato così in uno spazio di scambio: un “njangui teatrale” dove ciascun artista ha messo in comune il proprio linguaggio, la propria voce, la propria memoria.
Da questo incontro è nata una performance di strada. La trama è semplice: Arlecchino e Pantalone partono alla ricerca di un tesoro che si dice nascosto in Africa. Dopo molti incontri, scoprono che il vero tesoro non è l’oro ma la capacità di condividere, di sostenersi, di costruire insieme. Arlecchino, maschera dei poveri, dei servi, degli esclusi, riconosce subito il valore del dono; Pantalone, avaro e padrone, fatica invece ad accettarlo.
L’allegoria politica è chiara, ma non si ferma al messaggio: la forza dello spettacolo sta nel modo in cui ha messo in dialogo mondi opposti. La performance è stata portata sia nei quartieri più poveri di Yaoundé sia nella scuola francese della capitale, frequentata da una ristretta élite locale. «Intorno alla scuola c’è il filo spinato, ci sono i muri», racconta De Luca, «ma in strada arrivano i bambini scalzi, il rumore dei carri dei buoi, la vita che entra in scena».
L’incontro tra Arlecchino e lo njangui non è solo un esercizio di diplomazia culturale: è un gesto politico, una piccola utopia concreta in cui il teatro torna a essere ciò che era alle origini, una forma di comunità. «Nessuno aveva mai fatto una cosa così per noi», hanno detto gli abitanti del quartiere. Forse è da qui che bisogna ripartire: dal corpo vivo delle persone che guardano, rispondono, partecipano.
Stefano De Luca curerà ora la riproposizione de l’Arlecchino servitore di due padroni al Piccolo Teatro, fino al 2 novembre..



