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Uno stop alle attività culturali all’interno delle carceri. Il ministro Nordio ha recentemente introdotto, con una circolare del 21 ottobre, una misura per cui il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) obbliga le Direzioni degli istituti penitenziari in cui siano presenti detenuti in reparti di Alta Sicurezza o in regime ex art. 41 bis a sottoporre a preventiva approvazione della Direzione Generale Detenuti e trattamento ogni evento di carattere trattamentale che coinvolga la comunità esterna al carcere. Ciò significa un rallentamento, se non uno stop definitivo ai percorsi rieducativi e un esautoramento del magistrato di sorveglianza cui finora era affidato il compito di verificare la corrispondenza degli eventi proposti con il percorso di riabilitazione.
Sul tema intervengono, con una lettera al Ministro, i familiari delle vittime del terrorismo rosso e nero e della criminalità organizzata chiedendo di poter proseguire nelle attività che prevedono la risocializzazione e la rieducazione dei detenuti così come previsto dalla nostra Costituzione.
Ecco il testo della missiva:
Gentile signor Ministro della Giustizia,
noi familiari di vittime delle azioni terroristiche, della lotta armata e della criminalità organizzata, da tempo impegnati in attività volte a realizzare il dettato Costituzionale di favorire la rieducazione dei detenuti,
• consci del fatto che il ripensamento del proprio passato criminale molto raramente è frutto di un’improvvisa “illuminazione”, essendo più spesso il risultato di una contaminazione culturale, emotiva e relazionale, che supera le barriere fisiche tra il mondo esterno ed interno alle carceri,
• consapevoli che anche la semplice partecipazione a incontri e confronti con il mondo esterno rappresenta per i detenuti coinvolti una iniziale rottura verso il passato, esponendoli ai rischi e pericoli di emarginazione ben noti a chi frequenta le carceri,
• convinti che il cambiamento di valori richieda costanti, faticosi, lunghi e dolorosi processi di revisione critica del proprio vissuto, di assunzione di responsabilità molteplici e di emancipazione emotiva e culturale dal passato,
• consapevoli che il riconoscimento reciproco dell’uomo detenuto e della vittima costituisce il presupposto di un fecondo rapporto di relazione trasformativa,
• essendo testimoni dei cambiamenti indotti da queste frequentazioni anche nella relazione dei detenuti con l’autorità rappresentata dal personale di custodia,
• avendo constatato di persona l’importanza e la ricchezza dei confronti tra detenuti e studenti nel processo rieducativo, poiché questi ultimi spesso rappresentano il volto dei loro figli,
• avendo altresì constatato il valore sociale, psicologico e morale di questi incontri, al fine di prevenire il bullismo e derive criminali negli adolescenti,
• convinti che un cambiamento, una emancipazione ed una nuova scelta di campo sia possibile anche per chi ha commesso delitti particolarmente gravi,
• avendo sperimentato personalmente come questi incontri aiutino anche noi vittime della violenza a vivere le ferite del passato in modo diverso,
• consapevoli che la sicurezza della società dipende dalla qualità della cittadinanza di chi esce dal carcere,
guardiamo con notevole perplessità e sofferenza personale alle norme restrittive recentemente introdotte nelle carceri italiane volte a irrigidire, limitare e contingentare queste feconde attività di relazione tra detenuti e cittadini, in particolare laddove queste vengono obbligatoriamente sottoposte ad una impersonale e spesso soffocante centralizzazione burocratica.
Giovanni Bachelet
Fiammetta Borsellino
Marisa Fiorani
Silvia Giralucci
Manlio Milani
Lucia Montanino
Maria Agnese Moro
Giovanni Ricci
Sabina Rossa
Paolo Setti Carraro



