L’estate regala sole e bellezza, ma porta via tanti anziani: i più se ne vanno nell’ombra, anche se in case assolate e afose, anche senza mesti ritocchi di campana. Nelle case di cura, negli ospedali, soli. Nelle loro casette zeppe di ricordi, che li hanno accompagnati con tenera nostalgia.

Ma come diceva Totò, la morte è una livella, e non guarda alla fama o alla ricchezza. Così, anche quest’estate ci ha portato via pezzi della nostra storia, del nostro immaginario, che abbiamo ricordato con rimpianto.

Penso a Pippo Baudo, ma anche a Emilio Fede, e soprattutto a Giorgio Armani, la cui gloria è stata celebrata in tutto il mondo. Parliamo di tre grandi vecchi – usiamola questa parola, senza reticenze – che tanto hanno ricevuto e dato, come capita a tutti, con alterne fortune, e come capita a tutti, chi più chi meno, mostrando il loro volto migliore o meno esemplare (perfino i santi hanno vissuto momenti oscuri).

Eppure, l’enfasi, la retorica, la gara a rinverdire memorie e memoriette – che non tutto è memorabile – suonavano stonate, esagerate, non necessarie. Abbiamo letto e sentito epiteti sempre in crescendo, Magno, e Re e Imperatore, e che altro?

Abbiamo sorbito il racconto di aneddoti privati e pubblici non sempre significativi, col sospetto che servissero a mettere in luce amici vicini e spesso lontani, più che onorare il grande scomparso. Talvolta ci è parso che l’eccesso di pagine e programmi e rivelazioni desse spazio al pettegolezzo, benché travestito da encomio.

E invece, in un tempo in cui la vecchiaia e la morte vengono occultati con fastidio, in un tempo in cui il successo e il potere determinano i giudizi sugli uomini, in cui conta solo produrre, consumare, mostrarsi, si è persa l’ennesima occasione per riflettere sul significato del vivere e del morire.

Sul senso vero da dare ai talenti, ai meriti, ai demeriti, ai segni che tracciamo nel tempo che ci è dato. Sul senso della vita: per cosa vale la pena spenderla, creare, costruire, lottare? Studiare e lavorare, far famiglia, soffrire e gioire, piangere e ridere, avere amici.

Per il destino, per la speranza dell’eternità, qui, facendosi ricordare, e altrove. Una promessa, per chi crede, un fl ebile varco, per chi non crede ma vorrebbe credere. Cosa resta dei nostri nonni più umili, o dei grandi che hanno impresso la loro orma nella storia? Il bene, ricevuto e donato.

Perché niente è più vero di quel monito di San Giovanni della Croce: «Alla fine della vita sarete giudicati sull’amore».

Solo questo resta, non beni, non successo (quanto può durare? Al più qualche pagina nei libri, qualche spezzone a Techetechetè). Ma gli sguardi di amore, che si fa comprensione, abbraccio, generosità, perdono, testimonianza.

(Foto in alto: iStock)


In collaborazione con Credere
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