C’è un’isola al centro della Pianura padana fatta di acqua e di nebbia. È Mantova, capitale della cultura 2016, attaccata per un peduncolo artificiale alla terraferma, prigioniera e regina dei laghi che la circondano. Ed è proprio dall’acqua che inizia il racconto di Edgarda Ferri, la scrittrice e giornalista che lì ebbe origine e che, pur vivendo a Milano ormai dagli anni Sessanta, mantiene ancora la casa madre, quella dove è nata e cresciuta con i fratelli.
Lei che, raffinata storica e intellettuale, ha scritto poco della città natale fino al 2012, quando il terremoto ha aperto una ferita che ancora oggi fatica a rimarginarsi. «Lì ho dovuto occuparmi della ricostruzione. Il primo aprile dello scorso anno, dopo due anni, hanno riaperto la Camera degli sposi dipinta da Mantegna. Ho trovato terribile che la città fosse orbata di uno dei suoi più preziosi gioielli. Quando l’hanno riaperta sono andata dalla Tre Lune edizioni, piccolo editore locale, a proporre una storia: La casa di Barbara, dedicata a Barbara di Brandeburgo. Perché nelle ricerche sul terremoto la cosa più sconvolgente che ho scoperto è stato il fatto che erano crollate soprattutto le case, con la disperazione delle loro donne. E siccome io sono una donna, ho sposato la causa. Adesso sto scrivendo La casa di Isabella, Isabella d’Este. Di cui restano, meravigliosi, lo studiolo e la grotta dentro Palazzo Ducale».
Perla del Rinascimento, Mantova, oltre alle bellezze architettoniche, deve il suo fascino alla natura in cui è immersa, che la circonda e un po’ la isola. «Li chiamiamo i laghi, ma in realtà è un’isola circondata dal fiume Mincio che si inoltra per le valli virgiliane e arriva fino al Po. Fiume che è diventato lago quando, nel 1200 circa, l’architetto Pitentino introdusse delle chiuse per risolvere il problema delle esondazioni, salvando così la città e regalandole la bellezza degli specchi d’acqua ornati e invasi, soprattutto per il lago superiore e di mezzo, dai fiori di loto. Fiori che quando sono in piena fioritura rendono suggestiva la valle alta del lago superiore».
Si parte dal santuario delle Grazie e si scende attraverso il Parco protetto del Mincio, «un canneto con fiori di loto ovunque, che sembra di essere in Oriente. Barche che entrano in questi meandri dove gli uccelli sono liberi di volare perché protetti. Sono detti di passo, vengono dal Nord e vanno in Africa, ma quando arrivano qui non se ne vogliono più andare. Questa è la cultura dell’acqua. Perché il Parco del Mincio è protetto per gli animali di acqua e di cielo. Perché all’acqua erano legati i mestieri di una volta, come i tagliatori di canne che facevano le arelle che adesso vengono prodotte in Cina. Cultura dell’acqua perché appartiene alla tradizione. Un dato pittoresco: gli uomini dei Gonzaga, quando morivano, venivano portati a Santa Maria delle Grazie, da lì li imbarcavano per farne il funerale notturno e arrivavano ‚fino alla chiesa di San Francesco, il loro pantheon, dove venivano sepolti».

PASSEGGIARE AL CHIARO DI LUNA
Una ricchezza, l’acqua, che oggi ha anche un risvolto turistico: «Giri organizzati che ti portano ‚fino al Po attraverso le chiuse di Leonardo. Tour al chiaro di luna solo nelle notti di luna piena. Mantova non sarebbe così affascinante se non avesse l’acqua, basti pensare alla bellezza del Ponte San Giorgio». Che introduce alla città permettendo quel colpo d’occhio commovente, quell’affaccio improvviso sul pro‚lo della città. «C’è, poi, dell’acqua nuova: il Rio che collega il lago di mezzo e quello inferiore, che corre sotto il Ponte di San Francesco e vive tra l’antico Ponte di San Silvestro e le pescherie. Perpendicolari le beccherie costruite nel Cinquecento da Giulio Romano, dove andavano a macellare gli animali perché il sangue deŠfluisse nell’acqua. Oggi sul Rio sono possibili passeggiate a piedi o in barca attraverso quattro ponti. Un altro modo per scoprire Mantova».

È un ‚fiume in piena Edgarda Ferri, che non tralascia di citare il Festival della letteratura: «Un miracolo fatto da sette persone, la festa dei libri e dei lettori. Così come è meraviglioso Trame sonore, il festival di musica da camera che da tre anni a giugno anima le vie della città». C’è poi, però, una musica che suona diversamente. «La piaga della disoccupazione, altissima e drammatica. Non dimenticherò mai, durante l’ultimo concerto di Natale in piazza Sordello, davanti alla porta le donne disoccupate che con dei barattoli facevano “un altro concerto”. E pensare che la città potrebbe diventare ricca solo attraverso la cultura e il turismo».

Ma se alla Ferri chiedi cos’è la prima cosa che le viene in mente pensando a Mantova... «È la rotonda in piazza delle Erbe, chiamata di San Francesco, con affreschi ammalorati ma suggestivi. Lì è stato celebrato il matrimonio di mio fratello, che adesso non c’è più, in una giornata di nebbia fitta che sembrava un dipinto di Chagall. E poi, ovvio, il Ponte di San Giorgio. Da lì vedi tutto: rendi omaggio alla natura e poi entri nella storia dell’arte».