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La scena. Il protagonista, avendo saputo che Dio è una frequenza quantistica, si affida a un elettricista che attraverso una vecchia radio cerca di metterlo in contatto con il Divino per ricevere delle risposte urgenti, per chiedergli conto di certe cose che “suonano strane”, a partire dalla pandemia (ma non solo). Nel mentre l’elettricista (Diego Cassani) accompagna lo spettacolo con la sua chitarra. Dio consoce tutto, Dio vede tutto.
Partendo da questo assunto, nasce in chiave semiseria Se non ci pensa Dio ci penso io, in scena da martedì 25 a domenica 30 gennaio al Teatro Franco Parenti di Milano, con un esilarante Gene Gnocchi che anticipa lo spettacolo originariamente in calendario a metà febbraio. “Con Andree Ruth Shammah c’è un rapporto straordinario. Al Franco Parenti vado da 25 anni, non ho neanche voluto sapere il motivo di questa anticipazione, vista la stima e l’affetto che provo, e ho detto subito sì. Cerchiamo di riportare la gente a teatro con un sorriso che stempera le brutture in cui viviamo. Stando in casa due anni uno ha anche il tempo di elaborare delle cose, di scrivere tanto e riflettere tanto, così ho partorito questo spettacolo a più mani”, commenta Gene Gnocchi.
“Più che un capufficio sono un cittadino che ha bisogno di fare il richiamo del vaccino Astrazeneca. Ad ogni variante del virus si profila la necessità del richiamo e siamo un po’ tutti in preda a una psicosi. Prima, però, vorrei parlare con Dio. La domanda di fondo è semplice. Se Dio vede tutto e sa tutto, come è possibile che tolleri certe cose? Che intenzioni ha per l’Umanità visto che ultimamente è sembrato un po’ latitante?”.
Gene Gnocchi cerca di stimolare, divertendo e pungolando con sarcasmo mai banale, alcune riflessioni anche esistenziali che hanno un fondo di verità e che solo una tecnica affinata dall’esperienza riesce a cogliere senza preconcetti e dogmi, con il solo scopo di portare il buonumore e, come dice lui, “stimolare la voglia di riappropriarci delle nostre vite un po’ abbattute”.
Un viaggio attraverso domande che ci poniamo tutti, del tipo “ma perché Elon Musk vuole andare su Marte?”, con la bella scena iniziale, ovviamente comica, legata alla danza. “Sono appassionato della danza di Pina Bausch, ho visto anche il film di Wenders a lei dedicato e mi faceva piacere, nel mio piccolo, rendere omaggio a questa grande coreografa e danzatrice tedesca”. Fino alla domanda che regge l’intero spettacolo: “Dio c’è o ci fa?”.
Conclude: “Ho l’esempio di mio padre, da sempre legato al partito comunista, che negli ultimi anni della sua vita si è avvicinato alla fede. Questo mi ha lasciato dentro un travaglio, una voglia di approfondimento, mi pongo delle domande. Dovremmo cercare di essere meno livorosi, meno arroganti, perché effettivamente questa pandemia ha tirato fuori il peggio di noi. Dobbiamo resistere. Chi lavora in teatro ha il diritto di continuare a lavorare. Invece pare che tutto si sia rifermato. Chissà se la gente avrà voglia di divertirsi in queste sei serate. La voglia secondo me c’è, ma è frenata dalla paura diffusa di nuovi contagi. Capisco le difficoltà in cui tutti ci dibattiamo quotidianamente, ma se fermiamo il divertimento, la voglia di sognare, è finita”.
Del resto, come scriveva Shakespeare nell’atto IV de La tempesta, siamo fatti della sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita.



