Il piccolo Matteo non chiama mai Lorenzo “papà”. Perché suo padre è un altro uomo, anche se da molto tempo non vive con lui, al telefono è sempre distante e si dimentica della promessa di portarlo all’acquario. Lorenzo invece c’è quando Matteo vede per la prima volta una stella, c’è quando Matteo recita a scuola con i suoi compagni la Natività, c’è quando Matteo ride, piange, ha paura di tuffarsi in piscina, prova l’ebbrezza di salire su una moto. Lorenzo (Giorgio Pasotti) e Matteo (Niccolò Calvagna) sono i protagonisti di Mio papà, film presentato al Festival di Roma e ora nelle sale dal 27 novembre.

Una pellicola che esplora con sensibilità la dialettica tra “l’essere” papà e il “fare” il papà. Pasotti, oltre a recitare, è anche autore della sceneggiatura perché è un film a cui è molto legato da un punto di vista personale. «Dedico questo film a Francesco e a Gabriele», dice l’attore. Sono i figli che l’attrice Nicoletta Romanoff ha avuto prima di iniziare la relazione con lui, poi coronata nel 2009 dalla nascita di Maria. «Sotto certi aspetti ho con loro un legame perfino più profondo di quello che ho con mia figlia», confida Pasotti. «È sangue del mio sangue e quindi provo per lei un amore incondizionato. Invece con questi due ragazzi ho dovuto inseguire un rapporto giorno per giorno e ho vissuto e continuo a vivere con loro esperienze meravigliose. Francesco e Gabriele sono stati il punto di riferimento per realizzare questo film».  Diretto da Giulio Base, regista di molti episodi di Don Matteo Mio papà si apre con Lorenzo, un sommozzatore che vive sopra una piattaforma petrolifera in mezzo al mare. Fugge come la peste i legami duraturi, finché incontra Claudia (Donatella Finocchiaro). Tutto sarebbe perfetto, se non fosse per un “intruso”, suo figlio Matteo, il quale da parte sua ricambia l’ostilità verso questa nuova figura che da un giorno all’altro è entrata nella vita di sua madre. «In questi casi spesso il bambino accusa la nuova figura maschile della responsabilità della fine della relazione tra la mamma e il papà, anche se nei fatti non è stato così», continua Pasotti. «Però allo stesso tempo i bambini hanno la meravigliosa capacità di avvertire con nitidezza se i gesti e i sentimenti espressi da un adulto nei suoi confronti sono autentici oppure no».

È quanto capita a Lorenzo e Matteo che, pian piano, iniziano ad “annusarsi” e a ridurre le barriere che li separano, anche se Lorenzo non entra mai in competizione con il padre biologico del bambino. Semplicemente si prende cura di lui, perché il papà non c’è. Un processo di conoscenza che passa anche da un rapporto molto fisico tra i due. Lorenzo abbraccia spesso Matteo, se lo carica sulle spalle, dorme con lui. «Per un bambino la vicinanza fisica è fondamentale per percepire la vicinanza di sentimenti di un adulto: un abbraccio, spesso, dice molto più di tante parole». Non si pensi però che il film sia una favoletta all’acqua di rose. A un certo punto, un colpo di scena fa prendere alla narrazione una piega totalmente diversa, offrendo ulteriori spunti di riflessione sulla figura paterna. Ovviamente, i primi spettatori a cui Pasotti ha fatto vedere Mio papà sono stati Francesco e Gabriele: «Tornando a casa dopo la proiezione, sono rimasti in silenzio. Ho percepito tutta la loro emozione nel veder rappresentata su uno schermo una parte della loro vita. Io sono cresciuto felicemente in una famiglia tradizionale. Ma quelle allargate sono sempre più numerose e con Mio papà abbiamo cercato di raccontare questi legami tra adulti e bambini che si formano e possono diventare fortissimi, anche se non hanno un riconoscimento giuridico».

 Il film è stato presentato nella sezione del Festival Alice nella città dedicata ai ragazzi, di cui Pasotti è stato il padrino. «Purtroppo è ancora molto diffusa in chi fa spettacolo la tendenza a sottovalutare la cultura, l’intelligenza, la sensibilità dei nostri bambini e dei nostri adolescenti. Quelli che ho incontrato li ho trovati molto preparati, molto esigenti, capaci di esprimere punti di vista davvero maturi. Ricordo le emozioni che provai quando vidi per la prima volta un capolavoro come C’eravamo tanto amati di Ettore Scola e quanto sia stato importante per la mia formazione di uomo. Non vedo l’ora di vederlo insieme a Francesco e a Gabriele. Sono convinto che la ripresa dell’Italia passi prima di tutto per la riscoperta della nostra immensa cultura, anche cinematografica. I giovani non si accontentano più dei tanti prodotti superficiali che in questi anni hanno dominato al cinema e in televisione»