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Ore 9 del mattino, nel cuore di Milano. Una donna domanda a Giovanni Cafaro? «Scusi, dov’è via del Bollo?». «Sì, ci stiamo andando pure noi. Se vuole può accodarsi...».
La situazione è davvero buffa. Non solo perché in via del Bollo c’è l’ufficio riscossione dell’Agenzia delle entrate, ma perché Cafaro fa il codista. Il suo lavoro consiste cioè nel fare la coda al posto degli altri che, in cambio del risparmio di tempo, lo pagano 10 euro l’ora. Un passato da responsabile marketing, quando la sua azienda si è spostata all’estero, Cafaro a più di 40 anni si è ritrovato a spasso.
Ha iniziato a inviare curriculum a cui nessuno rispondeva, finché non ha avuto un’intuizione: «Mentre ero in fila in un ufficio pubblico, vedevo la gente attorno a me sbuffare e ho pensato: perché non posso farlo io al loro posto? Così ho stampato 5 mila volantini e li ho distribuiti. Sono subito arrivate le prime chiamate e ora faccio questo lavoro a tempo pieno. Un lavoro vero, perché ho promosso un contratto collettivo nazionale riconosciuto dal ministero. Ora siamo circa 500, in tutta Italia. La maggior parte, me compreso, lavora a chiamata. Ma ci sono anche codisti assunti come dipendenti da aziende».
Si stima che ogni italiano passi circa 400 ore (16 giorni) in fila, mentre un’azienda solo per pagare le imposte impiega 269 ore l’anno. E a dispetto dell’automatizzazione, secondo uno studio della Cgia di Mestre le code sono aumentate di venti minuti rispetto a dieci anni fa. Quindi è molto comodo avere qualcuno che ci sta per te.
«Stamattina sono venuto qui per conto di una cliente che vorrebbe rateizzare un debito. Ho portato tutta la documentazione», spiega Cafaro. Prende il suo numerino, si siede, controlla sul display quando arriva il suo turno, va allo sportello e in una ventina di minuti siamo fuori. «Oggi è venerdì, il giorno migliore per chi fa questo lavoro, perché molti pensano già al weekend. Se fossimo venuti lunedì, ci avremmo messo molto di più».
Mentre a piedi ci avviamo alla seconda tappa del nostro giro, l’ufficio postale, il codista ci informa che il suo lavoro si svolge in prevalenza al mattino («quando sono aperti la maggior parte degli uffici pubblici»), ma che capita spesso di dover lavorare anche in altri orari.
C’è chi lo chiama per ritirare una ricetta dal medico o degli esami clinici in ospedale («il lavoro richiede un rapporto di massima fiducia, anche per questo ho deciso di regolarizzarlo»), chi per ritirare il biglietto di un concerto e chi per visitare un museo evitando la seccatura della fila per entrare («ci incontriamo, mi metto in coda e loro vanno a farsi una passeggiata. Quando è il momento, li chiamo»).
La nostra camminata termina per il momento davanti all’ufficio postale. È vero, il venerdì è una buona giornata perché anche qui non c’è molta gente. «Devo parlare con una consulente: un’azienda vuole fissare un appuntamento perché ha bisogno di spedire cinquemila raccomandate». Tra le persone in fila qualcuno lo riconosce. «Capita abbastanza spesso: sono avvocati, commercialisti che come me si ritrovano spesso in coda per sbrigare delle pratiche. Anche molti impiegati sanno chi sono e mi sorridono. Aspettare non mi pesa: ne approfitto per leggere e per concordare nuovi lavori».
Anche qui arriva il suo turno e dopo mezz’ora lasciamo pure l’ufficio postale. Mentre ci dirigiamo sempre a piedi verso l’anagrafe, Cafaro nota la fila di gente in attesa di entrare in Duomo. «Le transenne disposte a serpente: che coda bellissima!», esclama. Gli chiediamo allora quali sono i luoghi peggiori per lui. «Prima di tutto la motorizzazione. Non ti danno il numerino, quindi sei costretto a disporti in fila indiana. Se ti distrai un attimo, c’è subito qualcuno che si mette davanti a te. E allora è facile litigare, specie se sei nervoso perché hai già fatto una o più volte quella coda dato che ti hanno chiesto di ritornare».
Al secondo posto in questa classifica c’è il banco dei pegni. «È difficile scambiare due parole con chi ti sta accanto. Hanno tutti musi lunghi, un po’ perché se si va al banco dei pegni significa che le cose non ti vanno molto bene e un po’ perché si teme che tu voglia rubargli gli oggetti che stanno lasciando. E poi ci sono solo due sportelli: mi è successo di dover aspettare fuori al freddo anche per tre ore».
Mai comunque come le otto ore che sono state necessarie per poter acquistare per conto di un cliente l’ultimo modello di iPhone, il cellulare della Apple uscito l’anno scorso. «Sono arrivato alle cinque del mattino e davanti al negozio c’era già parecchia gente che aveva passato la notte lì».
Ma come si diventa codista? «Bisogna contattarmi sul mio sito e seguire i corsi di formazione che organizzo, anche via Skype. Costo? 300 euro. Dopo, bisogna attivarsi per farsi conoscere: volantini, siti internet, social network».
Arriviamo così all’ultima fila di stamattina: l’anagrafe. All’ingresso un cartello avverte con aria minacciosa: “Per ritiro ticket, mettersi in coda, grazie” con il “mettersi in coda” sottolineato in nero. Quindi bisogna far la fila anche per ottenere il biglietto, per poi farne un’altra.
E in effetti, sembrava troppo bello: l’enorme salone è pieno di persone sedute in attesa del loro turno. C’è anche un’area bimbi completa di giochi e libri. Una mamma culla il suo piccolo, mentre un uomo dorme della grossa. Chissà se si sveglierà in tempo. Il codista deve richiedere il duplicato di una tessera elettorale. «Ho 72 persone davanti a me. Ci vorrà almeno un’ora e mezza. Qui è sempre così. In compenso, gli impiegati sono molto gentili».
Dopo un’ora e un quarto, finalmente usciamo anche dall’anagrafe. Cafaro al momento non ha altri appuntamenti, ma il suo telefono può squillare a qualsiasi ora: «Il mio lavoro non conosce crisi. Perché, specialmente in Italia, motivi per ritrovarsi in coda ci sono sempre».



