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Cosa si sarebbero detti San Pietro e San Paolo, incontrandosi tra le strade di Roma? La storia non ce lo racconta con certezza, ma alcune tracce lasciano intuire che i due apostoli siano stati presenti nella città eterna nello stesso periodo. Prima che santi, erano uomini: Pietro, pescatore del lago di Galilea, divenuto il primo pontefice e successore di Cristo; Paolo, colto e influente, trasformato da persecutore a fervente predicatore dopo la folgorazione sulla via di Damasco. A immaginare un incontro tra queste due figure fondative del cristianesimo è Michele La Ginestra, attore e commediografo romano, che porta in scena Pietro e Paolo a Roma al Teatro Sistina, dal 27 al 29 giugno. Uno spettacolo che indaga la dimensione più umana dei due apostoli, con uno sguardo limpido e privo di retorica, capace di restituire tutta l'attualità e l’umanità del loro messaggio.
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare da dove nasce l’idea e qual è l’urgenza che lo ha spinto a scrivere questo testo.
Perché uno spettacolo su San Pietro e San Paolo?
Fra Agnello Stoia, parroco della Basilica di San Pietro, mi ha contattato lo scorso anno chiedendomi se volessi realizzare uno spettacolo dedicato a Pietro e Paolo. Così ho iniziato a leggere e studiare moltissimo sull’argomento. In passato avevo già scritto Come Cristo comanda, uno spettacolo in cui due centurioni ai piedi della croce di Cristo si interrogano sui misteri della fede. Quell’impianto narrativo, fatto di confronto e riflessione, era piaciuto molto. Da lì è nata l’idea di mettere in scena anche un dialogo tra Pietro e Paolo, in una forma semplice e accessibile a tutti. Ho immaginato che potessero essersi incontrati a Roma, d’altronde dagli studi risulta che siano stati lì nello stesso periodo. Mi sono chiesto: di cosa possono parlare due santi? Mi piaceva pensare che, prima di essere santi, fossero innanzitutto uomini. Lo hanno dimostrato con le loro azioni, anche quelle più contraddittorie. Hanno compiuto un percorso umano, comune a chiunque sia alla ricerca di qualcosa, capace di farsi sorprendere da visioni e chiamate inaspettate. Pietro è un pescatore semplice, che ha lasciato tutto per seguire un uomo che lo ha spiazzato: certo, non si aspettava quel finale. Paolo, invece, è un uomo di potere, colto, che da persecutore si è trasformato in perseguitato, sconvolto da una visione che ha rivoluzionato la sua vita. Sono due figure diversissime, per cultura e vissuto, ma proprio per questo il confronto tra loro diventa fecondo. Pietro, testimone diretto; Paolo, credente per visione. C’è curiosità, voglia di comprendere, ma anche tensione: Paolo nella Lettera ai Galati accusa Pietro di doppiezza e ipocrisia – e non è una cosa da poco, considerando che Pietro era stato designato come primo pontefice della storia. Ma proprio da questo confronto nasce un affetto profondo, fraterno. Una relazione che porta i due a "festeggiare insieme" il 29 giugno, giorno che nell’antichità era dedicato a Romolo e Remo. Credo che il messaggio di Cristo sia arrivato fino a noi proprio grazie a entrambi. Se fosse passato solo attraverso il linguaggio semplice di Pietro, sarebbe risultato forse troppo basilare; se solo tramite Paolo, troppo colto e complesso. Insieme, invece, hanno reso il messaggio universale, capace di parlare ancora oggi.
Che ruolo ha il teatro nella trasmissione di questo messaggio?
Mi piacerebbe che questo invito all’ascolto e alla riflessione potesse arrivare anche attraverso uno spettacolo teatrale. E non tanto rivolto ai credenti, quanto proprio a chi non crede. Per i credenti può essere uno stimolo ad abbassare le difese, a semplificare il linguaggio. Il messaggio di Cristo è alla portata di tutti: siamo noi, spesso, a complicarlo. Vorrei raccontare la semplicità di due santi che, solitamente, vediamo scritti sui calendari, ma che in realtà erano esseri umani. Io vedo la santità nei padri e nelle madri che affrontano difficoltà con i figli, in chi si prende cura degli altri senza chiedere nulla in cambio. C’è tanta santità attorno a noi, ma tendiamo sempre ad associarla a figure lontane, con l’aureola. Il messaggio che vorrei trasmettere è proprio questo: togliere l’icona dal piedistallo e renderla umana, vicina. Far capire che anche i pilastri della Chiesa, come Pietro e Paolo, parlavano del Vangelo mentre mangiavano, lavoravano, si confrontavano con amici. Il Vangelo, in fondo, è qualcosa che si vive ogni giorno.
Come si collega questo racconto al Giubileo?
C’è un momento molto toccante nello spettacolo in cui Pietro racconta a Paolo che, nel momento di paura prima della morte, Gesù gli ha insegnato che si può avere paura. Che non è qualcosa di cui vergognarsi. E Paolo gli risponde che proprio la paura è ciò che spesso ci impedisce di chiedere aiuto, di rivolgerci al Padre. Il Giubileo è un’occasione per riconoscere questo: che la fede è una partecipazione viva al messaggio di Cristo, che è un Dio che si fa chiamare Padre, che sconfigge la morte e ci insegna che non dobbiamo avere paura di nulla. E questa è la speranza.
Come vengono integrate musica e danza nello spettacolo?
Lo spettacolo è scandito da diversi incontri tra Pietro e Paolo, distribuiti lungo i cinque anni in cui sono stati entrambi a Roma. Il passare del tempo viene sottolineato dalla presenza di alcuni performer che danzano sulle musiche originali di Emanuele Friello, arricchite dalle voci di alcuni cantanti. La danza esprime il fluire del tempo con una musicalità costruita su strumenti semplici, simili a quelli usati nell’epoca romana: poche corde, percussioni. Sfruttiamo anche alcune festività antiche, come i Saturnalia e i Baccanali, per immaginare i momenti d’incontro tra i due santi. I performer hanno anche il compito di trasformare fisicamente lo spazio scenico, rendendolo dinamico, vivo. Questo crea ritmo, colore, e rende lo spettacolo coinvolgente anche per chi ama il teatro come forma d’arte.
C’è qualcosa di voi, attori e autori, che è finito nei personaggi?
Senza dubbio. Io mi sento molto più Pietro che Paolo, nonostante abbia studiato tanto per approfondire entrambi. Fabio Ferrari, invece, ha vissuto qualcosa di molto simile a Paolo. Come lui stesso racconta: “Mi trovavo a Roma, nella città eterna, e ho pensato: ti pare che non vada alla ricerca di Cristo?”. Così è entrato in una parrocchia, ha cominciato a parlare con un sacerdote, e oggi è uno di quei cristiani “di cuore”, che vogliono mettere le proprie energie a disposizione del prossimo, per raccontare la Parola. Ci siamo divisi così i ruoli. E credo che entrambi abbiamo trovato, dentro a questa storia, anche qualcosa di nostro.



