L’uomo e la natura sono sempre al centro del cinema di Alice Rohrwacher. Sarebbe però troppo facile far riferimento al classico “realismo magico”. Gli ecosistemi in cui si svolgono le sue storie hanno una voce propria, sono parte integrante della narrazione. In Le meraviglie si parlava di una famiglia di apicoltori, in Lazzaro felice era netto il contrasto tra campagna e città. In La chimera, opera terza adesso in concorso a Cannes, il legame con la terra si fa ancora più viscerale. 
Siamo negli anni Ottanta, in un paesino di provincia. Un giovane innamorato dell’archeologia si ricongiunge con la vecchia banda. Sono tombaroli, per vivere scavano, rubano. La bellezza è quindi la vittima, qualcosa da depredare, monetizzare. Per la prima volta in un film di Rohrwacher forse non esiste l’innocenza. Tutti sono schiacciati dai loro traumi, devono confrontarsi con il dolore, la colpa. In qualche modo è una vicenda di fantasmi, in cui ognuno è divorato dal passato, fatica a dominare il presente. Il sogno si mescola con la realtà, l’atmosfera è ammantata di mistero, con improvvise accelerazioni che scandiscono l’andare degli eventi. 
Rohrwacher gira con intimismo, si sofferma sui piccoli gesti, sulle emozioni trattenute. Realizza un film immersivo, dove le immagini trovano un ruolo cardine con la musica. Ma che cos’è La chimera? Per alcuni è un mostro mitologico legato all’antica Grecia, un po’ leone, capra e serpente. Per altri è una suggestione, un sentimento, qualcosa di puramente percettivo. È quella che permette al protagonista di scoprire dove si trovano preziosi reperti etruschi. Si aggira come un rabdomante, avendo anche le proprie crisi esistenziali. 
Il ricordo, la memoria riscoprono la loro centralità, sono la salvezza che permette di sopportare la vita di tutti i giorni. I colori a volte si spengono, la miseria si mescola alla necessità di redimersi. Le storie di Alice Rohrwacher seguono sempre una ricerca di senso, scandagliano l’abisso. In fondo anche La chimera è un film sul credere. In Corpo celeste il riferimento era direttamente alla fede. Nel tempo la riflessione si è fatta più universale. Qui il motore è la passione per l’antico, una disciplina nascosta, dimenticata, che affonda le sue radici nella malinconia. Un brivido, un’esperienza sensoriale.