Trenta anni fa la firma degli accordi di Dayton metteva fine alla lunga guerra nei Balcani, di cui Sarajevo, la capitale della Bosnia-Erzegovina, posta sotto assedio dall’ aprile del 1992, era diventata la città simbolo con i suoi 12.000 morti .Una guerra alle porte dell’Italia, la prima in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale, teatro del genocidio di Srebrenica (8.000 uomini inermi uccisi solo perchè bosniaci, e riconosciuto dall'Onu nel 2024), che fu l’atto finale di una serie di barbarie ai danni della popolazione civile che spinse la Nato a intervenire su Belgrado. Una guerra di cui è doveroso conservare la Memoria a beneficio in particolare delle nuove generazioni. Con questo intento proprio alla Casa della memoria di Milano sono state inaugurate le mostre Shooting Sarajevo di Luigi Ottani, e Genocidio di Srebrenica, 11 lezioni per il futuro, a cura della Comunità Islamica di Bosnia ed Erzegovina e del Consolato Generale di Bosnia ed Erzegovina di Milano, che possono essere visitate fino al 28 novembre

L’ inaugurazione è stata l’occasione di una conferenza a cui hanno partecipato il presidente della Casa della memoria Alberto Martinelli, la vicesindaca Anna Scavuzzo che quando era una giovane scout fece parte di quel movimento di volontari italiani che a più riprese portarono aiuti alle popolazioni coinvolte, il console generale bosniaco Dag Djumrukcic, e la bosniaca Tatjana Sekulić, e docente di sociologia della Politica all’ Università Bicocca di Milano l'Imam Ahmed Tabakovic. Quello che in particolare è emerso dagli interventi è che le tensioni etniche e le rivendicazioni territoriali non sono state del tutto sopite con la fine della guerra vera e  fanno della Bosnia Erzegovina una polveriera pronta a esplodere ancora. Una guerra quindi che non va rimossa, ma ricordata affinché le sofferenze che causò siano da monito alle nuove generazioni che non hanno vissuto quel lungo e buio periodo.

 



La mostra fotografica, come hanno ben spiegato gli ideatori, il fotografo Luigi Ottani e l’attrice Roberta Biagiarelli  (di cui il 28 novembre va in scena al Centro Asteria lo spettacolo dedicato al massacro di Srebrenica), è formata da scatti che mettono il visitatore dal punto di vista di un cecchino che inquadra le vittime con il mirino. È una mostra non documentaria, ma artistica, perché gli scatti sono avvenute 25 anni dopo la fine della guerra, ma fatte dai punti sulle alture che circondano Sarajevo, da cui i cecchini serbi seminavano il terrore freddando tutti coloro, bambini, donne, anziani, che si avventuravano allo scoperto mossi dalle esigenze primarie della vita, come procurarsi cibo e acqua, o anche semplicemente giocare. Una riflessione per tutti, perché senza senza essere in guerra, corriamo il rischio ogni giorno di trasformarci in "cecchini", anche solo con parole taglienti che dimenticano come di fronte abbiamo un uomo o una donna come noi, e vediamo solo un nemico da "abbattere".