Dopo aver lavorato su Dostoevskij e Mann, al progetto culturale archiviozeta è parso naturale farsi ispirare da Franz Kafka: non solo per le sottili eppure fondamentali affinità tematiche fra i maestri della letteratura, non solo per una sorprendente serie di intrecci cronologici fra l’opera del tedesco e quella del praghese (La montagna incantata esce nel 1924, Il processo nel 1925, esattamente un secolo fa, e Kafka iniziò a scriverlo nel 1914, quando Castorp scese dalle montagne per avviarsi verso le trincee), ma anche e forse soprattutto perché la sensibilità kafkiana ha saputo anticipare temi e snodi in cui siamo ancora totalmente immersi: la colpa, la responsabilità, l’ingiustizia, una burocrazia totalizzante e opprimente, la solitudine dell’uomo, l’indifferenza, il dolore innocente, la violazione della privacy

Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, con un’affiatata compagnia di attori giovani e sempre più dentro il progetto archiviozeta, scelgono ancora una volta il Cimitero germanico della Futa, il più grande sacrario militare tedesco della Seconda guerra mondiale, per mettere in scena Il processo - Primo dibattimento: un palcoscenico di senso che esalta e moltiplica le prospettive e i significati, evocando la guerra, il martirio di giovani vite innocenti, la questione ebraica, la ricerca impossibile della pace, l’assurdità di un mondo che consuma la violenza nell’indifferenza.

La capacità degli autori di lavorare sul testo letterario trasformandolo in scena e recitazione è (ancora una volta) potente: il romanzo viene scomposto in scene ambientate in diversi luoghi del cimitero della Futa, che regalano ulteriori suggestioni grazie alla straordinarietà del paesaggio e alla colorazione che la luce proietta sul monumento architettonico, fino al tramonto.



Sono numerose le soluzioni per conferire densità scenica alla parola (scenografie, musiche, costumi, oggetti, come le lunghe mani con il dito puntato sull’imputato), su tutte spicca l’intuizione di non assegnare a un solo interprete il ruolo del protagonista K., ma di affidarlo a quattro attori: K. è ognuno di noi, siamo noi, accusati di una colpa che non conosciamo ma dalla quale non ci sentiamo nemmeno del tutto immuni, oppressi da un’ingiustizia a cui non sappiamo reagire, intrappolati in un labirinto di norme sfuggenti, presi in giro da presunte autorità, soli ad affrontare la prova perché non sappiamo quale parte gli altri stiano recitando. Lo spettatore, pellegrino fra le lapidi dei soldati tedeschi come K. fra la sua abitazione e il Tribunale, chiuso nella cripta del sacrario come K. nella surreale sala delle udienze, non può non interrogarsi sulla sua responsabilità individuale come sulla condizione universale di un mondo burocratico e indifferente.

Uno spettacolo da non perdere, per molti versi necessario: fino al 17 agosto (in scena anche in caso di maltempo) al Sacrario militare del Passo della Futa (Firenzuola, Firenze). Necessaria la prenotazione su www.archiviozeta.eu

Foto di Franco Guardascione