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«È difficile trovare due famiglie uguali. Sebbene l'idea di famiglia sia presente in tutti noi — perfino i giovani manifestano il desiderio di formarne una — dobbiamo fare i conti con tante modalità di vivere le relazioni familiari. "Fare famiglia" è un processo che avviene nel tempo. Il matrimonio non è più il punto di partenza, ma spesso il punto di arrivo di un percorso». Lo sa bene don Francesco Pesce, per anni direttore del Centro Famiglia di Treviso e che adesso, in qualità di docente di Antropologia telogica al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II di Roma, per l’anno accademico 2025-2026 lancia Vicino alle famiglie: percorsi di pastorale familiare. Un progetto innovativo che apre i suoi corsi specialistici a tutti i professionisti e operatori sociali che si occupano di dinamiche familiari con l'obiettivo di farsi prossimi alle famiglie e a chi le accompagna, offrendo formazione accademica e competenze specifiche per la cura e l'educazione.
«Una complessità» prosegue Pesce «che si estende a livello globale. I nostri studenti all'Istituto "Giovanni Paolo II" provengono da oltre 50 Paesi e concepiscono la famiglia in modi diversissimi: chi ha in mente il nucleo ristretto, chi include i parenti. A questo si aggiungono sfide come le guerre e le migrazioni, che portano a storie di parenti nei campi profughi o orfani. Respiriamo una grande varietà di culture e di modi di vivere la famiglia».
Qual è il bisogno più urgente che lei percepisce nelle famiglie che ha frequentato, anche negli anni di direzione del Centro Famiglia di Treviso?
«Un bisogno che ho notato con il Centro Famiglia è quello di essere sostenuti nella solitudine. Le famiglie oggi, almeno qui in Italia, sono isolate. A breve termine, chiudere la porta e lasciare fuori i problemi può sembrare una fortuna, ma a lungo andare l'isolamento toglie il respiro alla famiglia. Credo che la solitudine sia un problema urgente che richiede non solo sostegno, ma anche aiuto per creare reti.Un altro bisogno è quello di sentirsi incoraggiate e stimate. Le famiglie non devono essere viste solo come il luogo dei problemi, ma come una risorsa. Dalla mia esperienza, danno il meglio quando si sentono valorizzate dal contesto culturale, dagli attori sociali e dagli operatori pastorali».
Cosa manca a chi cerca di aiutarle e sostenerle?
«Penso che manchi una competenza specifica verso le relazioni. Nel contesto culturale italiano siamo abituati a vedere gli individui singolarmente. Manca uno sguardo capace di scorgere e vedere le relazioni – familiari e sociali – perché sono queste che appesantiscono o, al contrario, diventano la risorsa e la gioia nella vita delle persone. Credo che questa sia una competenza specifica sulla quale non basta improvvisarsi, ma bisogna lavorare».
Da settembre insegna al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II e ha inaugurato dei corsi dedicati a questi temi. A chi sono rivolti?
«L'Istituto è un sistema accademico internazionale che offre cicli di Licenza e Dottorato. Tra gli ex studenti, metà si dedica all'insegnamento e il 50% alla pastorale. I destinatari includono sacerdoti, laici, e religiose. Offriamo due percorsi: in Teologia del matrimonio e della famiglia e in Scienze della famiglia, quest'ultimo con un approccio più interdisciplinare. Un punto interessante è che la Licenza canonica è aperta anche a chi non ha un baccalaureato in teologia, rispondendo così al bisogno di formazione specifica dei laici e delle religiose».
Che temi affronterete?
«Le tematiche spaziano su tantissimi temi. Io tengo un corso sugli "Itinerari catecumenali di preparazione al matrimonio" e un altro sul "Discernimento teologico pastorale delle situazioni complesse", cioè come affrontare le situazioni familiari difficili. Ci sono corsi sulla violenza in famiglia, sulle voci e l'attenzione alle Chiese locali, sui temi della sinodalità e la famiglia, e molto anche su tecnologia, corpo e intelligenza artificiale. Non mancano corsi su maternità e spiritualità, oltre ad approfondimenti teologici sulle dinamiche della vita familiare. Quali sono le figure chiave che hanno oggi la maggiore responsabilità nel "farsi prossimi" alle famiglie e che tipo di deficit formativo si trovano a dover colmare? Penso ai sacerdoti, agli operatori pastorali, e alle famiglie stesse come soggetti di formazione. Il percorso è aperto a tutti coloro che si occupano di pastorale familiare a livello ecclesiale, ma anche ai professionisti di altre discipline che vogliono maturare una competenza specifica sul tema famiglia. Partiamo dall'idea che oggi non si può più fare da soli. Sostenere le famiglie è un lavoro corale».
La genitorialità: che tipo di genitori ci troviamo davanti oggi? Quali sono le sfide attuali – tra social media, pressioni e ritmi di vita frenetici – per le quali i vostri percorsi offrono un aiuto concreto?
«Offriamo corsi specifici su corpo e tecnologia, e sulle questioni filosofiche legate all'intelligenza artificiale. C'è un corso dedicato proprio all'informatica e all'intelligenza artificiale per formatori ed educatori, che ha in mente il tema della genitorialità e dell'educazione in relazione ai social media. Altri corsi si concentrano sui giovani, l'educazione e la libertà, come "Giovani e Bibbia", o sull'educazione degli adolescenti attraverso un approccio interculturale e sulla spiritualità della maternità. Oggi essere genitori è difficile; sono appesantiti dai ritmi e dalle attese sociali. È frequente la crisi attorno alla nascita del primo figlio, che può affaticare la coppia. Però ci sono anche segni di speranza, con coppie che desiderano diventare genitori e investono su questo».
In che modo la vostra formazione aiuta la famiglia a sentirsi parte attiva della comunità e non solo un oggetto di cura?
«La nostra formazione aiuta gli studenti a cambiare sguardo: a pensare alla famiglia non solo come un ideale da raggiungere, ma come una realtà da sostenere, affiancare e accompagnare. Si apprende uno stile di accompagnamento dentro le dinamiche e le fasi della vita. Inoltre, utilizziamo molte modalità laboratoriali, seminariali e degli atelier, dove gli studenti imparano a fare ricerca insieme. Questo metodo di lavoro apre lo spazio alle famiglie come soggetto attivo e non solo come destinatario della cura. Infine, quest'anno inauguriamo una nuova offerta, "Vicini alle famiglie": la possibilità per laici, operatori pastorali e coppie stesse di partecipare online ad alcuni corsi. È un’ottica di formazione permanente che punta all'acquisizione di competenze e a un aggiornamento teologico».
Qual è l’appello o il messaggio che lei si sente di rivolgere, non solo a chi si iscriverà, ma a chiunque senta la responsabilità di non lasciare sole le famiglie in questo momento storico?
«L'appello è proprio quello di non pensarci da soli, di non fare da soli. La vita familiare oggi incrocia una serie di complessità per cui non ci si può improvvisare. È necessario lavorare con competenza e con stile. Credetemi, è tutta un'altra cosa lavorare con competenza con le famiglie. Per affrontare la complessità di oggi, è fondamentale non essere da soli e farlo con competenza, preparandosi adeguatamente a questo compito».



