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Caro dottore, la leggo ormai da molti anni, e penso che lei sia più o meno un mio coetaneo. Sento da tante parti parlare del malessere degli adolescenti, del bisogno che hanno di uno psicologo in ogni scuola. Senti parlare di suicidi, di disturbi alimentari, di attacchi di panico di ragazzi e ragazze nella fase dell’esistenza più spensierata e vitale. Leggo cronache di scoppi di violenza inumani, di bullismo crudele, di ragazzi senza speranza per il futuro e che non hanno il senso della vita, né il rispetto per essa. E allora mi domando: è una generazione di ragazzi fragili, angosciati al punto da diventare insensibili? Di ragazzi che guardano solo il presente e non sanno costruirsi con fatica un futuro? E noi adulti, abbiamo sbagliato qualcosa?
Lino
Caro Lino, innanzi tutto grazie a te e a tutti i lettori che seguono questo periodico e queste rubriche con tenace fedeltà. È questo un dialogo che mi arricchisce ogni settimana, sia per le lettere che ricevo che per il lavoro di pensiero che ogni risposta richiede. Ve ne sono grato. Per venire a quanto scrivi, ogni generazione deve portare con sé la sofferenza della costruzione del nuovo, e questa non fa eccezione.
Nelle prossime settimane riprenderò il quadro emotivo tracciato in questa lettera. Mi chiedo però se esso non sia figlio, tra le altre cose, di uno stato d’animo diffuso negli adulti, che hanno pensato primariamente alla sicurezza propria e dei propri figli e non hanno saputo adeguatamente comunicare il valore della fatica e la presenza del dolore nelle vite. La protezione delle nuove generazioni, sempre più esigue numericamente a causa della denatalità, ha generato una visione illusoria del mondo, che ha trovato riscontro nella realtà virtuale del Web. Allontanando i ragazzi dal confronto diretto e faticoso con la realtà fisica e dalle limitazioni che impone.



