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L’anno scolastico si è aperto con una raffica di circolari interne che hanno riacceso il dibattito sul dress code scolastico. Non solo per gli studenti, ma anche per i docenti. In diversi istituti italiani sono state vietate maglie corte, pantaloni succinti, cappucci, scritte offensive stampate sulle t-shirt, gioielli troppo vistosi e persino unghie eccessivamente lunghe. La vera novità è che, questa volta, l’invito a rispettare le regole non è rivolto soltanto agli alunni, ma anche agli insegnanti, richiamati a «dare il buon esempio».
Il punto, però, è che non esiste alcun regolamento nazionale che disciplini l’abbigliamento dei docenti. Nemmeno il contratto collettivo prevede limiti o prescrizioni specifiche. Non a caso, tra i tavoli aperti per il rinnovo imminente del CCNL scuola, su cui stanno lavorando parte pubblica e sindacati, è stato inserito anche il tema di un possibile codice etico dei comportamenti, per colmare un vuoto normativo che si trascina da anni.
«Regolare l’abbigliamento degli studenti può sembrare ragionevole in chiave educativa – osserva Alessandro Giuliani, direttore della Tecnica della Scuola, il portale più autorevole di informazione scolastica (fondato come rivista nel 1949) – ma bisogna chiedersi fino a che punto sia legittimo intervenire sull’aspetto esteriore di ragazzi e ragazze senza ledere la loro libertà personale. Per i docenti, invece, il discorso è ancora più urgente: non possiamo limitarci a invocare il buonsenso. Serve un codice chiaro, condiviso da ministero, sindacati e opinione pubblica, per evitare interpretazioni arbitrarie e conflitti inutili».
Giuliani sottolinea che la questione non riguarda solo i vestiti. «Il caso della docente con un profilo su OnlyFans o quello di scrittori-insegnanti finiti al centro di polemiche pubbliche dimostrano quanto sia fragile il confine tra libertà individuale e funzione educativa. Un insegnante deve dare il buon esempio non solo in classe, ma anche fuori, altrimenti rischia di perdere autorevolezza davanti agli studenti e, di riflesso, di indebolire la credibilità dell’intera istituzione scolastica».
Sul fronte sindacale, la posizione è altrettanto netta. Patrizia Basili, dirigente nazionale della Gilda degli Insegnanti, ricorda che «il CCNL non regolamenta in alcun modo l’abbigliamento degli insegnanti, anzi l’articolo 40 afferma chiaramente che la funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale. L’unica norma a cui si potrebbe ricondurre un richiamo all’abbigliamento – spiega – è l’articolo 54 del Testo Unico sul Pubblico Impiego, che rinvia al Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con il DPR 62/2013. Ma quel Codice non fa alcun accenno specifico ai vestiti: all’articolo 3 si limita a prescrivere che il dipendente eviti comportamenti che possano nuocere all’immagine della Pubblica Amministrazione».
Da qui, secondo Basili, emerge «un vuoto istituzionale che la Gilda denuncia da tempo: servirebbe un Consiglio Superiore della Docenza che tuteli l’autonomia culturale degli insegnanti e, al contempo, stabilisca un codice etico di riferimento. In assenza di ciò, le circolari dei dirigenti scolastici sono del tutto unilaterali, arbitrarie e quindi illegittime».
Sul fronte opposto, però, non manca chi invita a ridimensionare i toni. Cristina Costarelli, presidente dell’ANP Lazio, smorza: «Definire queste circolari illegittime è un po’ eccessivo. Il problema è che sono strumenti deboli, facilmente fraintendibili. Se un ragazzo si presenta in pantaloncini, davvero pensiamo di non farlo entrare in classe? È chiaro che senza un codice etico più ampio si rischia di scivolare in soluzioni improvvisate. Qui siamo al confine tra buonsenso e regolamentazione vera».
La discussione, dunque, resta aperta. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha più volte dichiarato di lavorare da mesi a un codice etico per docenti e personale scolastico, che includa anche il comportamento sui social media. I casi recenti – dalla maestra che usava OnlyFans al dibattito su Christian Raimo – hanno reso evidente quanto la reputazione pubblica degli insegnanti sia ormai intrecciata con la loro attività professionale.
Il rischio è duplice: da un lato cedere a moralismi eccessivi che limitino la libertà personale, dall’altro lasciare che ognuno faccia a modo suo, minando l’autorevolezza della scuola. La prossima tornata contrattuale potrebbe rappresentare un’occasione cruciale per trovare un equilibrio. Non per uniformare stili e scelte individuali, ma per fissare regole comuni che restituiscano chiarezza, autorevolezza e credibilità a un’istituzione che rimane, nonostante tutto, il pilastro educativo del Paese.



