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«Nonostante le crisi, il mercato del giocattolo rimane stabile, a differenza di altri settori». Tra il boom dei prodotti per adulti e i consigli per il regalo perfetto da mettere sotto l’albero, ecco come cambia questo mondo.
Tablet e smartphone hanno ridotto il tempo per i giocattoli?
«Il giocattolo classico si rivolgeva tradizionalmente a una fascia d’età fino ai 14 anni. Questa soglia si è abbassata a causa del digitale. Ci sono fenomeni che segnano una riduzione, dovuta in parte ai videogiochi, ma anche al calo demografico in Italia. Nascendo meno bambini, si riduce naturalmente il numero di utenti. Il calo è però bilanciato dal fenomeno “Kidult”: prodotti destinati a un pubblico adulto, dai 14 anni in su. Si tratta di persone con stabilità economica, guidate dall’effetto nostalgia o dal desiderio di evasione. C’è una crescita importante di questi prodotti e alcune aziende hanno creato linee dedicate».
Cosa danno i giocattoli in più rispetto al digitale?
«Innanzitutto, il divertimento. Ma i giocattoli “insegnano”. Ci sono giochi per imparare a leggere o a riconoscere le lettere. Insegnano a rispettare le regole: in un gioco si vince o si perde, ed è un modo “morbido” per prepararsi alla vita. Sviluppano abilità: pensiamo ai giochi scientifici o a quelli creativi. Ma anche a peluche e bambole. Possono stimolare capacità cognitive e aiutare a scoprire doti particolari».
Tornando ai bambini, oltre al digitale, ci sono altri “nemici” del giocattolo?
«Sono diversi fattori. Uno è la vita attuale: gli usi e le abitudini cambiano. Prima del Covid, le famiglie tendevano a impegnare i figli con scuola, palestra, calcio e altre attività. Questo ha ridotto il tempo fisico da dedicare al gioco libero e alla socializzazione, e persino alla noia, che è fondamentale per inventare storie. Il Covid è stato un punto di svolta. Dopo una saturazione da Dad, smart working e Tv, c’è stato un rifiuto del digitale e la riscoperta dei giochi da tavolo. Questi obbligano a mettersi attorno a un tavolo in famiglia. Quindi, non è solo il digitale, ma anche uno stile di vita che toglie tempo al gioco classico, che resta fondamentale per la crescita».
I giochi educativi hanno ancora la fama di essere noiosi o di piacere più ai genitori che ai bambini?
«Oggi sono diventati meno noiosi e si presentano meglio. Una volta c’erano il laboratorio di chimica o il vivaio, che sembravano compiti scolastici. Oggi ci sono laboratori per costruirsi evidenziatori, penne o piccoli robot. C’è la voglia di esplorare, incuriositi dagli stimoli ricevuti. È la scoperta del perché quel robottino si muove o come si crea un colore. Spesso, il mondo delle licenze (personaggi di film e cartoni) accompagna queste confezioni, rendendo il gioco educativo più attrattivo».
La divisione “rosa per le femmine” e “azzurro per i maschi” è ancora netta?
«Ci sono stati negozi che hanno provato a esporre i prodotti mischiandoli, non più divisi per genere. C’è più sperimentazione: le famiglie non hanno più la stessa divisione mentale e basta guardare le confezioni. L’asse da stiro una volta aveva la bambina felice, oggi non più; lo stesso per il trapano o il camioncino dei pompieri. Certo, il rosa rimane un colore prediletto dalle bambine, ma non c’è più la categorizzazione rigida. Credo si andrà sempre più verso una fusione tra i generi nei giochi».


I prezzi dei giocattoli sono rimasti accessibili o sono aumentati?
«Sono rimasti più o meno stabili. Anche durante il Covid, con l’impennata dei costi di trasporto, le aziende hanno spesso deciso di non aumentarli. I prodotti sono rimasti accessibili, ce n’è per tutte le tasche. Colgo l’occasione per sottolineare un aspetto fondamentale: la sicurezza. Il giocattolo è sottoposto a normative molto severe. Bisogna stare attenti agli acquisti d’impulso di prodotti che sembrano economici ma non sono sicuri».
Qual è il gioco che ha resistito più di tutti al passare del tempo?
«Il gioco in sé non è mai cambiato molto. I giochi da tavolo sono forse quelli che sono rimasti più simili a sé stessi da millenni e continuano ad appassionare intere generazioni, dai bambini agli adulti. In termini di dati, la categoria più costante è sicuramente quella “Games & Puzzle”».
Quanto influenzano youtuber, social media e personaggi dei cartoni animati sulla scelta?
«L’influenza è enorme. Nel primo semestre 2025, il 30% dei giocattoli venduti in Italia erano prodotti su licenza. Un terzo delle vendite è frutto di uscite cinematografiche, personaggi famosi o videogames. Alcuni sono fenomeni passeggeri, altri diventano evergreen».
In un mercato dominato dalle licenze, c’è spazio per idee originali?
«Sì, c’è spazio e si cerca di sperimentare, spesso mischiando le categorie. Si “sporcano” i confini tra tipologie di prodotto. Ad esempio, un gioco da tavolo che incorpora i chiodini per segnare punti o creare figure. O pensiamo ai “cantastorie”: peluche che interagiscono, si connettono, caricano storie e si accompagnano al libro fisico, avvicinando il bambino alla lettura. Sono stati un fenomeno in crescita. Spesso si tratta di upgrade di idee del passato, attualizzate».









